Cosa vuol dire lavorare full remote dall’estero? E quali sono le implicazioni in materia di sicurezza sul lavoro?

Paola Salazar,  Avvocato Giuslavorista e Legal Advisor di Smartworking srl, ha analizzato il fenomeno per la quarta uscita del format – “Le risposte Agili dell’avvocato”. L’argomento è ampio ed interessante, nelle prossime puntate approfondiremo le diverse tematiche relative alla previdenza e l’ambito fiscale. Gli iscritti alla nostra newsletter ricevono ogni mese in anteprima la rubrica con le nuove domande e risposte. Se non sei iscritto, clicca qui:

Diversamente, abbiamo deciso di raggruppare anche qui le tematiche affrontate in una serie di articoli. Se ti sei perso la scorsa uscita, sulle implicazioni fiscali e previdenziali del lavoro full remote, clicca qui!

Lavoro Full Remote dall’estero

In vista del periodo estivo e della programmazione delle ferie, molti si interrogano sulla possibilità di prolungare i benefici del periodo di riposo e delle vacanze continuando a lavorare lontano dalla città e magari – capo e azienda permettendo – dall’estero. 

Si tratta di un “benefit” intangibile che è forse oggi il prodotto più evidente del post-pandemia. Il ritorno alla normalità del lavoro, accompagnata in alcuni settori anche da una stretta sul lavoro da remoto, ha accresciuto il desiderio di flessibilità individuale e le potenzialità organizzative che derivano dal lavoro agile.

Purché si abbia un regolamento di lavoro agile completo e un accordo di lavoro agile flessibile, ossia strutturato non a giornata fissa, ma in modo da consentire il lavoro da remoto anche per brevi periodi continuativi.

Ma in questi casi quali sono le implicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro? Inoltre, è possibile farlo anche in caso di brevi soggiorni all’estero? E in quali Paesi?

Cosa ci dice la legge sul Lavoro Agile

Il tema sta diventando di sempre maggiore attualità ed è particolarmente delicato perché ha molte implicazioni non solo di sicurezza ma anche di natura previdenziale e fiscale. Tuttavia, sarebbe troppo semplicistico vietare completamente i soggiorni per lavoro fuori dall’Italia – come in molte aziende si percepisce stia già avvenendo – mentre è sicuramente utile comprendere cosa dice la legge e quali sono gli spazi entro i quali è possibile muoversi. Soprattutto considerando che a livello internazionale facciamo parte dell’Unione Europea e che la mobilità dei cittadini dell’Unione è assicurata e protetta dal Trattato istitutivo.

Quando, infatti, la prestazione lavorativa viene eseguita secondo le modalità del lavoro agile da un paese diverso dall’Italia, nella gestione del rapporto di lavoro da remoto si inserisce un elemento di transnazionalità che va attentamente governato. Ci troviamo infatti di fronte ad una fattispecie del tutto nuova che non può essere inquadrata negli istituti tipici della trasferta oppure del distacco, perché il soggiorno all’estero non è effettuato nell’interesse del datore di lavoro ma vi è una forte componente volontaria che proviene dal lavoratore. Ossia la valutazione dell’opportunità del soggiorno all’estero anche per soddisfare quelle esigenze di conciliazione vita-lavoro che sono uno dei fattori previsti e tutelati dalla disciplina del lavoro agile. 

Diversi sono quindi gli interrogativi che sorgono in questi casi. Il primo a venire in considerazione – e il primo che vogliamo trattare – è quello relativo alla salute e sicurezza. Interrogativo al quale si lega anche l’ulteriore dubbio relativo all’eventualità dell’infortunio sul lavoro.  

Va innanzitutto ricordato che la legge che regola il Lavoro agile (art. 18 e ss. L. n. 81/2017) non pone particolari vincoli di natura contrattuale alla possibilità di eseguire la prestazione lavorativa da un Paese diverso dall’Italia.

Si deve trattare di ipotesi eccezionali, non della norma. Inoltre devono essere brevi periodi, soprattutto per le possibili implicazioni previdenziali e fiscali di un soggiorno prolungato all’estero svolgendo un’attività lavorativa che è comunque eseguita per conto di un datore di lavoro italiano in un paese diverso da quello di assunzione e di residenza abituale.

Tuttavia, il presupposto contrattuale per la legittimità di tali ipotesi lo si ricava direttamente dalla legge.  

L’art. 18, c. 1 della L. n. 81/2027 stabilisce che : “le disposizioni del presente capo, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”. 

È la stessa norma che stabilisce che sulla base dell’accordo tra le parti – da cui l’importanza dell’accordo individuale – la prestazione lavorativa può essere svolta senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro (purché nel quadro di una certa programmazione degli obiettivi ossia per fasi, cicli e obiettivi).

Non solo, caratteristica del lavoro agile è proprio che la prestazione lavorativa viene eseguita in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza una postazione fissa. Entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. 

La legge non pone pertanto alcun divieto per i casi di esecuzione non prolungata della prestazione lavorativa da un Paese diverso dall’Italia, tanto più se si tratta di un Paese UE. Visto che l’ordinamento comunitario tutela per tutti i cittadini dell’unione il diritto di libera circolazione.

Esistono allora particolari vincoli almeno dal punto di vista della sicurezza?

La sicurezza del lavoratore agile

La disciplina in materia di sicurezza del lavoratore agile prevede – oltre agli ordinari obblighi di prevenzione legati all’uso degli strumenti di lavoro – anche fattori di ‘rischio ambientale’, caratterizzati dal fatto che l’attività lavorativa è svolta al di fuori dei tradizionali “ambienti di lavoro”, come ad esempio nei casi in cui l’attività venga svolta al di fuori del proprio domicilio in esercizi pubblici.  Fattori che sono solitamente oggetto di attenta valutazione da parte dell’azienda, in collaborazione con l’RSPP e che sono inseriti all’interno dell’informativa che va consegnata al lavoratore – come espressamente previsto dalla legge (art. 22 L. n. 81/2017) e ricordato anche dall’INAIL (circ. n. 48/2017). Tra l’altro la legge richiama anche il rispetto da parte del lavoratore degli obblighi di cooperazione all’attuazione delle misure di prevenzione previste e predisposte dal datore di lavoro. 

L’esecuzione del lavoro in modalità agile in Italia o all’estero, non fa venir meno il possesso dei requisiti oggettivi (lavorazioni rischiose) e soggettivi (caratteristiche delle persone assicurate) previsti dalla legge per la tutela assicurativa del lavoratore agile (art. 23, c. 2 L. n. 81/2017) e per la stessa ricorrenza nell’ambito del lavoro subordinato dell’obbligo assicurativo INAIL (artt. 1 e 4, D.P.R. n. 1124/1965).

Sul fronte degli infortuni, la legge circoscrive la ricorrenza dell’infortunio sul lavoro all’esistenza di una diretta connessione dell’evento con la prestazione lavorativa: gli infortuni occorsi mentre il lavoratore presta la propria attività lavorativa all’esterno dei locali aziendali e nel luogo prescelto dal lavoratore stesso, sono tutelati se causati da un rischio connesso con la prestazione lavorativa. Tale principio è valido anche con riguardo alla fattispecie dell’infortunio in itinere (art. 23, c. 3 L. n. 81/2017 cit.), che viene riconosciuto tale nell’ambito del lavoro agile quando la scelta del luogo della prestazione è dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza. Il lavoratore “agile” è quindi tutelato non solo per gli infortuni collegati al rischio proprio della sua attività lavorativa, ma anche per quelli connessi alle attività prodromiche e/o accessorie, purché strumentali allo svolgimento delle mansioni proprie del suo profilo professionale.

In conclusione

Da un punto di vista generale, quindi, il fatto che il lavoro venga eseguito in Italia, oppure occasionalmente e per brevi periodi da un paese diverso dall’Italia (ad esempio in altro paese dell’Unione Europea), non fa venire meno i presupposti oggettivi e contrattuali per la tutela assicurativa e per la gestione dei casi di infortunio.
Purché le parti lo abbiano previsto nell’accordo individuale e purché la scelta del luogo dal quale viene eseguita la prestazione lavorativa – se autorizzato dall’azienda qualora si trovi all’estero – risponda a criteri di ragionevolezza legati anche agli obiettivi di conciliazione vita-lavoro. 

Si pensi ad esempio a quanto è già avvenuto durante gli anni della pandemia. Molti lavoratori assunti in Italia che si trovavano lontano dai loro Paesi di origine, hanno scelto di rientrare per stare più vicino ai propri familiari lavorando da remoto e questa circostanza – al di là delle difficoltà connesse all’emergenza sanitaria – non ha alterato i presupposti oggettivi per veder garantita la tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro.  

Ci vediamo alla prossima uscita!

PAOLA SALAZAR – Avvocato, esperto in diritto del lavoro. Dal 2009 il tema della conciliazione vita-lavoro, dell’organizzazione flessibile del lavoro e, oggi, del lavoro agile, è seguito sia per interesse personale, sia per interesse professionale come Legal Advisor di Smartworking srl.