Il più delle volte la tecnologia è dalla nostra, altre volte invece ci complica un pò le situazioni. Ecco questa volta la diretta ha regalato gioie ma anche dolori. Per il nostro nuovo format “Colazioni Agili” giovedì 25 marzo avevamo in programma di intervistare Stefano Porta, Amministratore Delegato di ODM Consulting, società esperta di consulenza organizzativa e Risorse Umane. A causa di problemi con l’audio i primi venti minuti della diretta sono risultati essere praticamente incomprensibili, per questo motivo abbiamo deciso di trascrivere la prima parte dell’intervista. Per non perdere molti degli input forniti da Stefano, estremamente interessanti, e per valorizzare ancora di più lo scambio avvenuto. Eccola.
Come stai? Come stai affrontando questo momento?
Dal punto di vista casalingo uno dei problemi che sto maggiormente riscontrando riguarda la gestione della quotidianità familiare, io sono di origine valtellinese, ho l’ufficio a Milano e una bambina di 4 anni. La vera sfida, sia per me che per mia moglie, è trovare lo spazio per lavorare e riuscire ad integrarsi quando serve. Stiamo cercando di gestire al meglio, come penso tanti, questa situazione che aumenta lo stress e le tensioni, ma l’obiettivo è quello di dare comunque serenità ed equilibrio alla famiglia.
Dal punto di vista professionale la situazione è tosta: gestionalmente parlando la sfida principale riguarda tenere il team unito e motivato e fortunatamente, per il mestiere che facciamo, non è tanto la distanza ad impattare. Facevamo smart working anche prima del Covid, grazie anche al supporto di Smartworking srl. Le problematiche riguardano più che altro l’ascolto dei clienti e la comprensione del fatto che spesso l’attenzione è altrove. A differenza delle prime ondate, questa volta il Covid è entrato in azienda, ma il nostro obiettivo professionale rimane quello di tenere la squadra unita internamente ed esternamente e di riuscire sempre ad ascoltare quelle che sono le esigenze dei clienti. Siamo tutti sulla stessa barca e bisogna un pò darsi una mano.
Cosa vuol dire per te lavorare smart (al di là della situazione emergenziale)?
Vuol dire trovare un equilibrio professionale diverso da prima. Organizzarsi per essere più imprenditori di sé stessi. Essere fortemente orientati agli obiettivi e non ai compiti. Vuol dire avere, nel rispetto di una pianificazione aziendale e commerciale, la libertà di decidere quando, dove e come svolgere il proprio lavoro.
Un esempio: per me la macchina è parte integrante della (mia) attività smart, perché è lì che concentro le attività di call e meeting (quando faccio il tratto di strada casa-lavoro per ottimizzare e risparmiare tempo).
Oggi per me lo smart working vuol dire well-being: mi permette di governare bene gli spazi dentro i quali mi sposto. Ovviamente tutto questo va visto in un’ottica di pianificazione che tenga conto anche dell’organizzazione e della flessibilità dei colleghi. Lo smart working dal mio punto di vista esaspera l’esigenza di non avere solo un’organizzazione individuale ma di ufficio complessiva (noi evitiamo ad esempio di intossicarci di connessione, con attenzione agli orari di tutti).
Smart working è sia un approccio culturale e manageriale, sia un modello organizzativo molto fluido che fa fatica all’inizio ad essere messo in pratica, non è la soluzione a tutti mali, ma sicuramente è una soluzione che se gestita bene genera equilibrio.
Come vedi il futuro del tuo ruolo e delle risorse umane in generale, come credi che cambieranno?
Cambiano gli obiettivi e l’interpretazione che viene data loro.
Ci sono una serie di sfide che in questo momento vanno gestite: la prima è aiutare le persone a guardare avanti. In questo momento in tutte le aziende ci sono persone in difficoltà, sia per motivi personali che professionali, bisogna cercare di garantire ai propri collaboratori (con tutte le difficoltà del caso) le migliori condizioni possibili in cui lavorare.
Bisogna aiutare le persone a lavorare nell’incertezza, che sarà forte, non solo nei prossimi mesi ma nei prossimi anni. È necessario gestire i paradossi, gli opposti, i momenti di up e di down continui, valorizzare il lavoro, rendere le persone consapevoli del contributo che danno perché questo aiuta sia l’individuo sia il professionista. Lavorare non isolati, concentrandosi sia sull’individuo che sul team perché se quest’ultimo è forte aiuta anche il singolo in difficoltà.
È necessario portare le persone ad innovare e ad imparare continuamente: il Covid ha generato anche dal punto di vista del pensiero e dell’innovazione tantissime novità e in parte ha rallentato quello che era il classico processo del business orientato “all’oggi”. Ci ha portato a ragionare in prospettiva.
Per il mio ruolo servirà:
- Apprendimento continuo;
- Motivazione ed engagement;
- Un po’ di leggerezza verso le persone, nonostante le pressioni del business.
Lo smart working non è un cambiamento che attui dall’oggi al domani, non è stilare un regolamento. È un processo di change profondo che passa dalla testa, dalla formazione e dalla cultura delle persone in azienda. Lo abbiamo dovuto fare ad una velocità che non è consona ai processi di cambiamento. L’altro tema è che non abbiamo fatto vero smart working in questi mesi. È stato però comunque utile per dimostrare che lavorare al di fuori dell’ufficio è fattibile nell’80% dei casi, ma il processo va preparato e piano piano, come un terapia, deve trovare il proprio equilibrio. Più l’organizzazione è grande più è complesso farlo. Il punto è che lavorare per obiettivi è faticoso e ti espone perché ti richiede di portare dei risultati fidandosi gli uni degli altri.
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