Ci ha colpito molto un articolo pubblicato alcuni mesi fa in cui viene descritta la strategia di gestione delle risorse umane all’interno di Airbnb, azienda leader della sharing economy. Il nuovo modello HR, “Workplace as an experience”, infatti, inteso come punto d’incontro tra i bisogni delle persone e le sfide aziendali è perfettamente in linea con la nostra “vision”. Nello specifico Airbnb lo ha incarnato cercando di eguagliare il rapporto con i propri collaboratori a quello con i propri clienti.
Il recente lancio fatto da Bryan Cesky, CEO di Airbnb, della nuova piattaforma Trips ha portato, ancora una volta, alla ribalta l’azienda americana. Negli ultimi anni quest’ultima si è contraddistinta, oltre che per l’originalità del suo business, anche per la ridefinizione del ruolo dell’area Risorse Umane.
Airbnb, il network per trovare alloggi in tutto il mondo, ha improntato il proprio successo rimanendo fedele alla mission “crea la tua esperienza di viaggio”. Motto da ultimo usato anche per promuovere l’ultima novità che consentirà di unire luoghi, persone ed esperienze.
«Non sarà più necessario seguire le mappe, aspettare in coda o scattare fotografie dei soliti posti turistici […] adesso si potrà avere accesso a esperienze uniche, case incredibili e consigli direttamente dalle persone del luogo».
L’“ospitalità reinventata” rientra in una vision che mette sempre la persona al centro degli obiettivi di business. Non stupisce, quindi, che Airbnb abbia voluto estendere il concetto di “esperienza memorabile” anche ai suoi dipendenti. Partendo dal presupposto secondo cui lavoratori soddisfatti siano più produttivi e quindi creino clienti felici.
“Workplace as an experience”, di cosa si tratta?
Da qualche anno, infatti, sta sperimentando un nuovo modello di HR, denominato “Workplace as an experience”, cioè “luogo di lavoro come esperienza”.
Il Chief Employee Experience – così si definisce Mark Levy, HR Manager in Airbnb – amplia le funzioni tradizionali del capo risorse umane. Ora si occupa anche di temi connessi al marketing, alla comunicazione, al real estate e alla responsabilità sociale.
L’essenza di questo modello è quella di creare un contesto lavorativo in cui tutti gli elementi fisici, emotivi e virtuali concorrono a creare un’esperienza di lavoro ottimale.
Pilastri principali di questo modello sono autonomia, flessibilità, trasparenza, diversificazione, attenzione al cibo e ambiente fisico. Tutto è focalizzato sulle differenti esigenze personali del melting pot di persone che collaborano tra di loro. Non mancano tecnologie collaborative d’avanguardia e un grande interesse nel far crescere sempre di più il senso di appartenenza alla cultura aziendale.
Particolare attenzione è data anche alla ricerca dei talenti e alla sfera emotiva dei collaboratori. Quest’ultimi grazie al programma di cittadinanza globale, possono usufruire di 4 ore al mese per prestare servizi di volontariato.
Si può dire che quella delle risorse umane in Airbnb non è più solo una funzione di supporto all’interno del business, ma l’esperienza dei dipendenti è buona parte dei business stesso.
Ammesso che di Airbnb ne esista una sola con la sua storia e le sue peculiarità, viene da chiedersi se sia possibile trasferire questa esperienza in altre aziende. In particolare in quelle italiane, dove vi è una visione più tradizionalista della funzione HR.
È possibile raggiungere questo obiettivo? Da dove iniziare?
In primo luogo si potrebbe traslare nel ruolo HR quello che l’azienda fa con i clienti. Ad esempio portare al suo interno interno gli strumenti di marketing che si utilizzano per conquistare e fidelizzare i consumatori. Come ad esempio la continua ricerca di soddisfare i bisogni, creando un modello di sviluppo condiviso con i dipendenti e costruito in base alle caratteristiche personali. Non va dimenticato, infatti, che così come i clienti contribuiscono a creare il valore del prodotto, allo stesso modo i dipendenti concorrono a creare il valore e l’identità dell’azienda.
Secondariamente si potrebbe valutare l’importanza di collaborare con le altre aree che non rientrano nelle classiche funzioni HR. Si creerebbe così uno scambio continuo di informazioni e verrebbe decisa in maniera coordinata la strategia aziendale.
Altra domanda è “perché farlo”?
I motivi sono tanti. Uno di questi è perché è ciò a cui aspirano gli studenti e i neolaureati che si affacciano ora nel mondo del lavoro ed è quello che chiederanno tutti i lavoratori in un prossimo futuro. Le aziende devono essere in grado di intercettare le generazioni digitali che sono in possesso delle nuove competenze richieste dal mercato del lavoro. Per riuscirci dovranno essere attrattive e aggiudicarsi i giovani talenti.
Inoltre, un nuovo paradigma può ridurre il rischio che professionisti esperti possano scegliere di ricercare un differente contesto lavorativo. Come è vero che i clienti comprano prodotti in cui si riconoscono, allo stesso modo i lavoratori del futuro sceglieranno come luogo di lavoro, aziende che hanno saputo creare anche al loro interno un’identità forte e performante.
È importante ricordare che per fidelizzare e valorizzare i collaboratori non bastano incentivi di tipo economico, premi di risultato e i classici piani di welfare. Molto più importanti sono: lo scambio di opinioni, la comunicazione interna, la formazione, lo sviluppo di competenze e l’uso della tecnologia al fine di semplificare i processi.
Non è detto che la soluzione adottata da Airbnb sia l’unica strada da percorrere. Probabilmente non esiste una soluzione che vada bene per tutti. Ogni azienda deve trovare la sua modalità di cambiamento, anche in base alla sua storia e agli obiettivi di business. Il primo passo, però, è quello di prendere coscienza che un ripensamento dell’organizzazione aziendale, a partire dall’area HR, è necessario e improrogabile.
Immagine: Papercollage di Vincenzo Musacchio