Hai già sentito parlare di Workplace Revolution?

È un approccio innovativo al Workplace Management e come ogni rivoluzione, anticipa i tempi e cambia le regole del gioco.

Ti aiuta a supportare in modo sicuro, grazie ai dati, le opzioni di scelta e gestione per il tuo spazio di lavoro.

Workplace Revolution significa:

  • Definire i metri quadri in modo innovativo, correlato al tempo di utilizzo
  • Progettare in base alle attività effettive dei vari spazi
  • Una gestione più puntuale dell’ufficio e del suo ecosistema

Il webinar

Durante il webinar conoscerai i dettagli operativi di questa modalità di progettazione e gestione degli spazi di lavoro. Ti racconteremo una esperienza concreta nella quale l’approccio Workplace Revolution ha avuto un ruolo determinante.

È un evento di Smartworking srl e Macroarea
In collaborazione con:
Real Estate Center del Politecnico di Milano

Con il patrocinio di:
FIABCI

Clicca per iscriverti al nostro webinar!

Grazie all’interesse mostrato a seguito del nostro webinar del 30 gennaio dal titolo “Settimana cortauna nuova sfida per l’HR” (puoi recuperarlo QUI), è stato naturale voler approfondire il tema con un secondo appuntamento per la nostra community.

Introduzione

La Settimana corta continua ad essere un tema molto discusso, anche in Italia.

Tra i benefici vengono riconosciuti più tempo per se stessi e per la famiglia, minor stress e quindi uno stato di salute psico-fisica migliore.

Uno dei maggior ostacoli alla sua implementazione rimane però la cultura aziendale, ancora molto radicata al concetto di presenza e controllo. Ciò che è certo è che si sta delineando sempre di più una tendenza da parte dei lavoratori a porre maggiore attenzione al proprio benessere, mettendo in discussione le modalità lavorative che “sono sempre state così”.

Durante il webinar di lunedì 27 marzo 2023 – Federico Bianchi e Rosario Carnovale di Smartworking srl, insieme al Legal advisor – Paola Salazar – hanno descritto le prime sperimentazioni in Italia sulla settimana corta e mostrato a quali strumenti di gestione l’HR puo’ ricorrere per attuarla.

Rosario Carnovale: modelli di settimana corta

Abbiamo già visto nel primo webinar il modello 100-80-100 secondo lo studio del 4-Day-week global, il più diffuso nell’ambito della sperimentazione della settimana corta. Se vuoi approfondire CLICCA QUI.

I primi casi in Italia

Gruppo Magister

Per i 250 dipendenti delle controllate Ali Lavoro e Repas è iniziata la sperimentazione che vedrà, per 11 mesi, la riduzione del monte orario per i dipendenti, da 40 a 32 ore settimanali. Quattro giorni a settimana senza riduzione di stipendio.

Gli altri tre giorni potranno dedicarli ai propri hobby, agli affetti, avendo l’opportunità di investire più tempo per se stessi. Si tratta di uno dei modelli più puri di short week. Modello: 100 – 80 – 100

Lavazza

Venerdì corto, le persone beneficeranno dell’uscita anticipata nella giornata del venerdì mediante l’utilizzo di parte dei riposi individuali previsti dal contratto nazionale, per un periodo di quindici settimane, da maggio a settembre. Modello: 100 – 100 – 100

Gi Group

Sperimentazione sulle filiali di territorio della Smart week, le persone potranno scegliere il giorno libero in modalità flessibile garantendo il livello di servizio. Il modello è un’estensione dell’accordo di lavoro agile. Modello: 100 – 100 – 100

Federico Bianchi: come affrontare la Settimana corta?

Oltre alla flessibilità di spazio esiste anche quella di tempo. Con la settima corta si ha la possibilità di introdurre una giornata di riposo che per certi versi complica la situazione e mette il manager in una situazione delicata. 

Da qui nasce il nostro approccio che fa leva sull’accordo di lavoro agile all’interno del quale inserire una serie di elementi di flessibilità. Tutto questo garantendo il livello di servizio e ottimizzando le risorse.

Il nostro modello, la Smatrix

Si tratta di uno strumento attraverso il quale si progetta e si gestisce la flessibilità. Flessibilità nel senso più ampio del termine che permette al lavoratore di avere massimo accesso alle sue esigenze.

Il modello si sviluppa in tre fasi:

  1. ASCOLTO – IL MANAGER ANALIZZA E DEFINISCE IL LIVELLO DI FLESSIBILITà SOSTENIBILE PER OGNI TEAM/UNIT
  2. GESTIONE – OGNI TEAM SARà IN GRADO DI GESTIRE IN AUTONOMIA LA FLESSIBILITà DI TEMPO E DI SPAZIO IN RISPETTO DEL LIVELLO DI SERVIZIO
  3. RACCOLTA DATI – ACCEDI A TUTTE LE INFORMAZIONI SULLA FLESSIBILITÀ

Vediamole nel dettaglio.

Prima fase: Listen

La prima fase è la SMATRIX LISTEN che aiuta i manager a costruire team agili e:

  • Mappare le attività che non favoriscono l’agilità
  • Capire quali comportamenti attivare/allenare 
  • Calcolare la propensione al lavoro agile
  • Monitorare il livello di engagement

Seconda fase: Plan

La seconda fase è la SMATRIX PLAN che si avvale di un tool che supporta i team a gestire in autonomia la pianificazione in ambiti dove è necessaria la presenza fisica ma non si vuole rinunciare alla flessibilità del lavoro agile.

  • Interfaccia intuitiva e accessibile anche da mobile
  • Pianificazione delle presenze per garantire business continuity ed equità nell’utilizzo della flessibilità di tempo
  • Trasparenza: ogni persona può visualizzare la pianificazione del team
  • Integrazione con i sistemi di payroll: la nostra smatrix plan è integrabile con la maggior parte dei sistemi di payroll e gestionali HR

Terza fase: Insight

La terza fase del nostro modello è la fase di ANALISI dell’impatto. Come? Verificando ex post le statistiche giornaliere che ci permettono di: 

  • Monitorare l’occupacy degli spazi
  • Monitorare la gestione del livello di servizio
  • Confrontare con i dati di mobility e di spostamento in termini di emissioni di co2
  • Conoscere il livello di utilizzo flessibilità per team
  • Misurare l’utilizzo della flessibilità di tempo versus quella di spazio
  • Misurare l’agilità dei singoli team

In conclusione

Non dimentichiamoci che la flessibilità da team a team puo’ cambiare molto e il manager è una figura chiave in questo processo. Deve infatti essere in grado di far crescere le proprie persone e non solo, far anche in modo che queste utilizzano il tempo a proprio beneficio così che possano essere più serene, felici e di conseguenza efficienti.

Introduzione

Dopo Intesa San Paolo e Lavazza, la Settimana corta è il tema del momento anche in Italia, una delle nuove sfide per l’HR.

Guardando alla crisi energetica e alla sua influenza nella gestione quotidiana dell’attività delle famiglie e delle imprese, parlare di “short week” assume un particolare significato. Ancora una volta un fattore esterno diviene acceleratore di un cambiamento organizzativo, come durante la pandemia con il lavoro da remoto.

Durante il webinar di lunedì 30 gennaio 2023 – Federico Bianchi e Rosario Carnovale di Smartworking srl, insieme al Legal advisor – Paola Salazar – hanno descritto ampiamente i primi esperimenti nel campo di alcuni nostri clienti e quali strategie l’HR deve mettere in atto per far fronte a questo cambiamento.

Rosario Carnovale: modello 100-80-100

Secondo lo studio del 4-Day-week global – una comunità senza scopo di lucro che sta portando avanti sperimentazioni molto importanti sul tema – la settimana corta può essere spiegata attraverso un modello noto come: 100-80-100. Ricevo il mio stipendio al 100%, lavoro all’80% (da 40h a 32h) a fronte dei medesimi risultati.

Il primo pilot organizzato da 4-Day-week global insieme alle Università più prestigiose del mondo, ha portato ai primi risultati su 27 aziende che hanno dato al momento le seguenti risposte:

  • 18 aziende hanno deciso di confermare il modello
  • 7 hanno intenzione di confermarlo
  • 1 è propensa
  • 1 ancora indecisa

Leggi QUI lo studio completo.

E in Italia?

La pandemia ha accelerato il tema dello Smart Working e della Short Week. Forte attenzione ai temi correlati al benessere, soprattutto per la Gen Z.

Al centro di queste tematiche troviamo la sperimentazione del gruppo Magister (si occupano di HR) su due società del gruppo: per 11 mesi è prevista in azienda una riduzione del monte ore – da 40 a 32 – senza variazione di stipendio e di risultati (100-80-100).

Obiettivo dell’azienda: maggiore attenzione al tempo, coniugando la voglia di essere professionisti di successo con grande attenzione alla propria sfera privata.

Intesa San Paolo: modello 100-100-100

Percorso diverso per Intesa San Paolo: aumentato a 120 giorni lo Smart Working all’anno, senza limiti mensili, e la settimana corta di 4 giorni da 9 ore lavorative, a parità di retribuzione senza obbligo di giorno fisso e con adesione volontaria. Modello 100-100-100.

Federico Bianchi: caso studio Settimana corta

Un’azienda nostra cliente, con cui collaboriamo dal 2021, ha mostrato l’esigenza di avviare questa nuova sperimentazione. Stiamo parlando di una realtà italiana retail con più di 2000 dipendenti e 230 filiali, che durante il covid ha preso consapevolezza su quello che sarebbe stato il suo futuro del lavoro

È stata inizialmente impostata una survey interna che ha fatto emergere come il 65% delle attività mappate (su diversi ruoli) sono state ritenute più produttive se svolte da casa.

Come far convivere benessere e produttività?

Per affrontare questa domanda e lavorare sulle tematiche emerse, nascono i cantieri agili, insieme all’idea della settimana corta come opportunità per poter lavorare meno a parità di efficacia.

Parte la sperimentazione, inizia la fase di analisi e la prima bozza di short week con i seguenti elementi chiave:

  • garantire flessibilità e produttività
  • progetto che parte dalle persone e non calato dall’alto
  • elemento fondamentale, la parte giuslavoristica.

Paola Salazar: dal lavoro agile alla settimana corta

Sono state sperimentate forme di flessibilità organizzativa strutturate sulla gestione dell’orario di lavoro, nella pratica:

  • Alcuni hanno limitato la scelta a giorni a settimana o a mese
  • Altri hanno preferito «giocare» su percentuali dell’orario di lavoro settimanale nel rispetto degli orari standard
  • Altri hanno collocato le ore di lavoro giornaliero in una fascia più ampia (ad. es. 8.00-20.00) prevedendo delle fasce orarie di «garanzia»
  • È questo il meccanismo attraverso il quale possiamo iniziare a ragionare in termini di settimana corta con gli strumenti a disposizione (la legge e la contrattazione collettiva.)

La disciplina dell’orario di lavoro ci dà già degli strumenti utili per gestire la settimana corta, ovvero:

  • la definizione, « è orario di lavoro: qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni» (art. 1, c. 2 lett. a) D.Lgs. n. 66/2003) 
  • « L’orario normale di lavoro è fissato in 40 ore settimanali. » (art. 3 c. 1 D.Lgs. n. 66/2003) – non c’è più l’obbligo di collegare la giornata lavorativa alle otto ore ma c’è il limite settimanale di 40 ore
  • « I contratti collettivi di lavoro stabiliscono la durata massima settimanale dell’orario di lavoro » (art. 4, c. 1 D.Lgs. n. 66/2003).

Come è stato affrontato il percorso dal punto di vista legale

Partendo dall’accordo di lavoro agile e dalla gestione del lavoro da remoto possiamo avere:

  • Regolamenti sempre più incentrati su ampie forme di flessibilità oraria
  • Accordi individuali personalizzati anche in ragione dei ruoli (si pensi a coloro ai quali non si applicano i limiti ordinari della disciplina sull’orario di lavoro)
  • Ricorso alla contrattazione collettiva di secondo livello per forme di flessibilità in deroga alle previsioni del contratto collettivo.

I 3 elementi fondamentali per partire

Per gestire in generale la sperimentazione è fondamentale avere strumenti efficaci per la messa in pratica:

  • Regolamento, può diventare un’opportunità di flessibilità attraverso un patto tra lavoratore e azienda. 
  • Planning tool (elemento di pianificazione), serve pianificare in modo collaborativo per garantire i livelli di servizi richiesti.
  • Integrazione payroll, avere comunque la possibilità di caricare in modo semplificato gli aspetti amministrativi legati alla settimana corta.

Con l’obiettivo di unire le competenze (contratti e smart working) per affrontare in maniera significativa un tema così delicato sia a livello organizzativo che da un punto di vista legale, anche in prospettiva del termine del lavoro agile emergenziale, abbiamo stretto una partnership con la Commissione di Certificazione dell’università di Siena. Partnership che ha dato vita ad un nuovo progetto che ora ti raccontiamo.

OBIETTIVO

L’Online Program, che abbiamo chiamato Avvio di un progetto di SMART WORKING post pandemia, nasce con un obiettivo molto preciso, quello di aiutare le organizzazioni a porre le basi per un reale cambiamento organizzativo.

Come? Attraverso una riflessione sul ruolo dello smart working nella propria organizzazione a partire proprio dal Regolamento, inteso come un nuovo patto tra lavoratore e azienda. Solo in questo modo è possibile creare le basi per un progetto efficace e in accordo con le leggi in vigore. 

PERCORSO

Insieme all’università di Siena abbiamo pensato di suddividere il percorso formativo in quattro lezioni, quattro momenti di mezza giornata ciascuno. I motivi dietro la scelta di strutturare un così breve percorso sono diversi, sicuramente uno dei principali è dato dalla necessità di mettere un pò di ordine. Di formalizzare il caos causato dall’emergenza con un regolamento, che non sia però un mero atto amministrativo, ma qualcosa che l’organizzazione e le sue persone condividono e in cui si rispecchiano.

Un altro motivo è sicuramente dato dall’avvicinarsi del ritorno alla “normalità”. I tempi della sperimentazione sono terminati, ora è il momento di concretizzare, di strutturare e fare propri metodologie e strumenti. In parole povere, non c’è tempo da perdere! Il percorso partirà infatti a giugno e terminerà a luglio.

MODULI

Ecco brevemente i contenuti che saranno affrontati nei 4 moduli, ciascuno rispettivamente tenuto dal docente di riferimento.

  1. Primo incontro – Organizzazione agile

Attraverso la presentazione di alcuni casi studio ed il coinvolgimento dei partecipanti verranno analizzati i molteplici aspetti che un progetto di Smart Working deve prendere in considerazione per essere efficace e portare la trasformazione desiderata nella propria organizzazione.

  1. Secondo incontro – Smart Working Canvas – Teoria

Verrà presentato lo strumento che aiuta l’organizzazione ad impostare in maniera strategica il progetto di innovazione organizzativa. Tutto questo verrà raccontato attraverso la presentazione di casi reali di canvas realizzati in organizzazioni di diverse dimensioni e contesti operativi.

  1. Terzo incontro – Smart Working Canvas – Pratica

In questo appuntamento con un’accezione pratica i partecipanti andranno a stilare il proprio canvas creando una connessione tra le sfide, i desideri, i valori alla base della propria organizzazione per andare a costruire la bussola che li aiuterà nel percorso di smart working.

  1. Quarto incontro – Regolamenti e accordi di lavoro agile

In questo incontro verrà fornita la cornice giuridica di riferimento per la messa a punto delle Policy già esistenti e per la realizzazione del Regolamento e degli accordi individuali di Lavoro agile, nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla L. n. 81/2017 creando una stretta connessione con lo Smart Working Canvas.

WEBINAR

Se hai bisogno di una guida, di qualcuno che ti affianchi in questa fase preliminare di avvio del progetto e lo vuoi ad un costo contenuto che non sia quello di un progetto vero e proprio, allora potrebbe essere il percorso giusto per te. 

Martedì 4 maggio alle ore 10 si terrà il webinar di presentazione dell’Online Program, se non te lo vuoi perdere registrati ora, è gratuito e potrai scoprire date, costi e docenti.

Partiamo da una premessa fondamentale: il lavoro da remoto che si è sperimentato nel corso della pandemia non è vero smart working

Il lavoro da remoto nella prospettiva del conflitto tra lavoro e famiglia

Tutti noi, chi più chi meno, abbiamo lavorato in questi mesi in remoto e, va detto, forzatamente da casa. La impossibilità di separare in alcuni casi gli spazi personali (fisici e mentali) da quelli lavorativi ha favorito il sorgere di momenti di inquietudine e a volte anche di frustrazione. Il tempo si è trasformato in una specie di continuum tra impegni familiari e lavorativi, riunioni on line, scadenze, telefonate, social, intrattenimento on line e off line. Si è così posto all’attenzione di tutti con forza rinnovata dalla pandemia il tema della “disconnessione”, considerando soprattutto il ruolo delle donne all’interno della famiglia e l’esigenza, sia durante i mesi di lockdown generale, sia durante i successivi periodi di chiusura settoriale e localizzata, di costruire migliori confini tra la vita e il lavoro (all’interno delle mura domestiche). Nelle scienze organizzative si parla in questi casi di “conflitto tra lavoro e famiglia” dovuto alla simultanea presenza di pressioni e richieste legate ai diversi ruoli ricoperti, con incidenza negativa sulla soddisfazione e sulla efficacia della persona. (Greenhaus e Beutell, 1985).

Ebbene, stando all’esperienza di questi mesi e alla necessità di non svilire la portata delle pur positive ricadute del lavoro da remoto sul benessere psico-fisico dell’individuo, sarebbe troppo riduttivo considerare il diritto alla disconnessione solo nei termini di una “pausa” dagli impegni di lavoro oppure dalla connessione (on line e off line). Il concetto di “pausa” nella modalità fluida di gestione del tempo che è ormai entrata nelle nostre case e nella nostra vita ha implicazioni organizzative di non poco conto. Dovendo (e potendo) essere applicata non solo avendo in mente la gestione dell’orario di lavoro (tra cui si collocano anche le prassi di chiusura dei server e la gestione delle “richieste del capo”…) ma anche avendo in mente una migliore gestione di alcuni impegni familiari – come il giardinaggio, la cucina e il gioco – così come alcune attività individuali che alimentano il pensiero creativo quali la meditazione, lo sport, il riposo, l’intrattenimento culturale.

Cosa è propriamente il diritto alla disconnessione?

Dovremmo quindi valutare cosa è propriamente il “diritto alla disconnessione” ed evitare di relegarlo ad un dettato normativo che svilisce la sua intrinseca natura concettuale, valida peraltro sia per le donne, sia per gli uomini. Perché sarebbe un errore andare a normare – come vogliono i più – il diritto alla disconnessione avendo solo in mente il lavoro femminile e l’impegno delle donne – purtroppo ancora molto significativo (dati ISTAT) –  nelle attività familiari e di cura. Sarebbe riduttivo perché non terrebbe nella dovuta considerazione il fatto che la nuova organizzazione del lavoro che è il portato più immediato della pandemia – lo smart working in senso proprio – si deve necessariamente nutrire di una chiara definizione del lavoro per obiettivi e sulla base di questo di una non trascurabile capacità di scomposizione del tempo (di lavoro e di non lavoro) per cicli. Presupposto fondamentale per dare valore alla disconnessione in tutte le sue più varie componenti lavorative e non lavorative.  

Quando sento da più parti che servono regole minime oppure che vanno garantiti i diritti delle donne mi accorgo che si trascurano due presupposti fondamentali

  1. che le regole minime esistono già; 
  2. che non vanno garantiti solo i diritti delle donne.

La legge sul lavoro agile prevede già il diritto alla disconnessione. È compito di chi deve applicarla e implementare i progetti definire con fiducia l’insieme delle regole che rendano effettivo e reale il diritto alla disconnessione in tutte le sue sfaccettature. 

L’art. 19, comma 1 della legge sul lavoro agile (la L. n. 81/2017) stabilisce che “l’accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”. La norma ci dice due cose importanti: da un lato, nella consapevolezza dei rischi derivanti da un eccesso di lavoro – questo sì non controllabile – ed al fine di scongiurare i rischi connessi al superamento dei limiti di durata – giornaliera e settimanale – della prestazione lavorativa, i quali incidono sulla salute dell’individuo per effetto proprio del possibile sovraccarico di lavoro dovuto all’assenza di controllo (cd. burnout), l’accordo di lavoro agile – e con esso il regolamento di smart working – devono introdurre meccanismi di gestione della prestazione da remoto che assicurino da parte del lavoratore il rispetto dei tempi di riposo (facendo leva anche sulla gestione flessibile dell’orario di lavoro), essenziali soprattutto per le nuove generazioni troppo abituate alla iper-connessione. Dall’altro, laddove si fa riferimento, invece, alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche, esorta ad adottare misure tecniche e organizzative, quindi a strutturare il lavoro proprio per fasi, cicli e obiettivi (art. 18, c. 1 L. n. 81/2017) al fine di garantire sia la disconnessione legata alla prestazione lavorativa e caratterizzata dai momenti di focus e concentrazione, sia la disconnessione funzionale alla conciliazione vita-lavoro. Quest’ultima essenziale non solo per assolvere agli impegni personali e familiari ma necessaria per alimentare il pensiero creativo.

Diritto alla disconnessione e dovere di disconnessione nella nuova organizzazione del lavoro

Il diritto alla disconnessione si compone pertanto di diverse sfaccettature che poggiano tutte su un presupposto fondamentale che deve essere alla base di qualsiasi progetto di smart working: l’abbandono del controllo sulla prestazione a favore di una maggiore autonomia e responsabilità dal lavoratore anche nella gestione dei propri tempi di lavoro. 

Specularmente, al diritto alla disconnessione si contrappone quindi un dovere di disconnessione che spetta al datore di lavoro disciplinare nel quadro della nuova organizzazione del lavoro per “fasi, cicli e obiettivi” che caratterizza il lavoro agile. Prevedendo in questo senso il rispetto da parte del management di determinate regole di comportamento che siano valori condivisi dell’organizzazione (quali ad esempio non pretendere risposte al telefono o alle e-mail a qualsiasi ora) così come momenti di relazione, socializzazione e perché no, di gioco fondamentali per creare anche a distanza senso di squadra, evitando l’isolamento e le frustrazioni derivanti dal “conflitto tra lavoro e famiglia”. 

La disconnessione è quindi un concetto assai complesso, quasi a voler sottolineare che non è possibile parlare di “disconnessione” se prima non siano state poste con sufficiente chiarezza – nell’accordo e regolamento di lavoro agile – le basi per rendere effettivo e realmente sperimentabile con modalità collaborative e flessibili il lavoro per obiettivi. Quest’ultimo è il presupposto per questa nuova forma di organizzazione del lavoro – anche attraverso una gestione dei tempi di lavoro, dei tempi di riposo, dei tempi di relazione, dei tempi di “irreperibilità”. Il tutto coerentemente con i valori che l’organizzazione vuole comunicare all’interno e all’esterno.

Così da gettare le basi per l’evoluzione stessa del diritto del lavoro nell’ambito della nuova organizzazione del lavoro e nell’ambito della moderna organizzazione dell’impresa cominciando a far leva in modo costruttivo su fattori oggettivi di misurazione della prestazione di lavoro in luogo della potenziale ed indistinta dilatazione del tempo che ad essa viene dedicato.

Per leggere l’articolo precedente di Paola Salazar -DALLA PANDEMIA LA SFIDA PER LAVORARE BENE. CON QUALE STRUMENTO GIURIDICO?- clicca qui

Avvocato giuslavorista ed esperta di lavoro agile
Articolo a cura dell’avv. Paola Salazar – Salazarlavoro

Difficile immaginare a gennaio che nel volgere di pochi mesi avremmo tutti affrontato una vera e propria rivoluzione nel modo di lavorare. Da anni ci occupiamo di progetti di smart working e da anni constatiamo quanta differenza ci sia tra le aziende che hanno deciso di abbracciare questo nuovo strumento organizzativo e non.

Le prime con un approccio globale e circolare coinvolgente spazi, persone, tecnologia e organizzazione del lavoro mentre le seconde vedono lo smart working – nella specifica accezione del lavoro agile (così come del telelavoro) – solo come uno strumento di gestione e regolazione del rapporto di lavoro. Utile, quest’ultimo, come l’esperienza di questi mesi ha messo in evidenza, per assicurare la continuità delle attività attraverso il lavoro da remoto, ma di fatto svincolato dalle sue peculiari componenti organizzative. Perché lo smart working, in senso proprio, non è che l’occasione per abbracciare una maggiore flessibilità nell’organizzazione del lavoro contribuendo così a rendersi più efficaci, produttivi e, proprio grazie alla flessibilità, anche più resilienti.

Non bisogna farsi scoraggiare (o suggestionare) dalle ricerche – comunque utili e necessarie – che hanno messo in evidenza in questi mesi pregi ma anche difetti dello smart working: case troppo piccole, commistione con gli impegni familiari che hanno gravato molto sulla popolazione femminile, isolamento e frustrazione, super-lavoro, pay-gap. E’ chiaro che la dimensione unidirezionale dello smart working sperimentata in questi mesi nella forma del lavoro domiciliare non è vero smart working. Nell’accezione “emergenziale” se ne è compresa la finalità. Ma proprio perché “emergenziale”, in questa sua connotazione si tratta di una modalità di lavoro che va comunque organizzata in tutte le sue componenti (spazi, tecnologia, persone) ma che è destinata a rimanere circoscritta alla particolare situazione di questi mesi. Così come le disposizioni speciali che sono state introdotte dai diversi decreti per tutelare le persone più vulnerabili e maggiormente a rischio.

Come passare dalla fase di sperimentazione emergenziale allo smart working a regime

Una volta terminata la fase acuta dell’emergenza si è però compreso come alcune delle caratteristiche proprie dello smart working siano oggi le componenti più idonee a supportare le fasi purtroppo altalenanti di quello che tutti auspicano essere un ritorno alla normalità. Una normalità che non ha niente a che vedere con quella pre-COVID perché il mondo e il lavoro sono ormai cambiati, ma una nuova normalità. Quest’ultima dovrà accompagnarci nella presa di coscienza di un nuovo modo di lavorare, essenziale per transitare verso il lavoro del futuro in cui tecnologia, competenze e flessibilità organizzativa saranno il punto di forza di imprese e individui. 

Smart working, propriamente non è lavoro da casa, ma flessibilità di tempo e di spazio nell’esecuzione della prestazione. Il che significa lavoro in sede, fuori sede, da casa, ma anche lavoro per alcuni periodi di tempo al di fuori dei più grandi centri urbani. Questa flessibilità spazio-temporale stimola le energie positive, la capacità di prendersi dei momenti di pausa, di socializzazione e di riposo, stimolando produttività, riflessione e creatività.

Questo nuovo modo di lavorare potenzialmente influirà su diversi ambiti: si pensi alle congestioni del trasporto urbano (già oggi molto ridotto), all’edilizia dedicata alla creazione di spazi di co-working anche fuori dai grossi centri urbani (oggi poco avvezzi a queste strutture), ma anche al ripensamento delle strutture turistiche e ricettive che potranno riconvertire molti dei loro spazi per consentire anche con pacchetti dedicati al rilancio del settore, il lavoro da remoto. Ma si pensi anche ai progetti – già in atto – di ripopolamento dei piccoli centri e delle città del Sud che assicurano una migliore e meno costosa qualità della vita. 

La rivoluzione ormai è già in atto, alcune aziende lo hanno già previsto come modalità strutturale di lavoro fino a luglio 2021 (Google). Non resta che coglierne le potenzialità attingendo agli strumenti giuridici che abbiamo già a disposizione per accompagnare questo modo di lavorare.

Regolamento o accordo sindacale?

Regolamento interno e accordo individuale necessariamente collegati e, quindi fonti di regolazione – negoziale – dell’interesse aziendale e di quello individuale nel riscrivere e customizzare la nuova organizzazione del lavoro. In questa loro connotazione che li lega indissolubilmente il regolamento aziendale diviene atto condiviso e non unilaterale, a patto di seguire un processo di co-costruzione dello stesso, essenziale per accompagnare qualsiasi forma di sperimentazione. Il regolamento, infatti, è modificabile e adattabile man mano che la sperimentazione va avanti. L’accordo sindacale che pure da molte parti si sente a gran voce invocare – anche nella forma dell’accordo quadro – non ha queste potenzialità (tanto è vero che anche la legge n. 81/2017 non lo ritiene strumento principale di regolazione del lavoro agile). 

Al centro di qualunque progetto di Smart Working di successo ci sono infatti diverse variabili, tutte da prendere in considerazione ai fini della sua regolazione:

  • le persone,
  • gli spazi,
  • la tecnologia,
  • i comportamenti. 

L’approccio metodologico più adeguato per i progetti di smart working, anche e soprattutto dopo l’esperienza di questi mesi, parte dall’ascolto delle persone e quindi, da un processo di co-creazione del regolamento (e dei connessi accordi individuali) con i lavoratori che poi dovranno applicarlo. Per essi diviene fondamentale conoscere quale sarà la cornice di riferimento entro la quale potranno organizzare la loro giornata di lavoro, gli obiettivi, l’orario di lavoro, i tempi di disconnessione, il rapporto con i colleghi ed i manager, la tecnologia e l’uso in sicurezza degli strumenti e di tools indispensabili per sostenere il lavoro e la collaborazione da remoto senza vincoli di tempo e di spazio. Per fare ciò, per dare concretezza al processo di “customizzazione” necessario in tutti i progetti di smart working è utile organizzare delle sessioni di ascolto, di team coaching, di retrospettiva. Tutte finalizzate a far emergere le caratteristiche del lavoro e le aspettative e le esigenze dei singoli in relazione alla flessibilità organizzativa che l’azienda ha in mente di realizzare a regime, una volta terminata la fase di adattamento post-COVID legata anche all’attuazione dei protocolli di sicurezza.

Il sistema di valori quale driver dei progetti

Il nuovo modo di lavorare, le sue criticità e i suoi correttivi entrano così nel sistema dei valori dell’impresa. Gli stessi che trovano espressione nelle altre Policy e regolamenti interni (Privacy, Sicurezza, Codice Etico, Codice di comportamento) e trovano così una loro collocazione sistematica nel complesso delle regole che governano il lavoro delle persone di quella specifica azienda. Fattori di identità e di appartenenza fondamentali per sostenere il lavoro del futuro parzialmente in sede e parzialmente fuori sede.  

Per tale motivo è indispensabile tenere sempre al centro le persone, concentrarsi sulle loro aspettative, sulle paure, sui comportamenti, per aiutarli a costruire quella flessibilità personale che è requisito indispensabile per il successo di questa forma di organizzazione del lavoro. Chiedendo loro di portare alla luce, secondo il proprio sistema di valori, le sfide, le opportunità, i correttivi che ciascuno vede necessari per sé e per l’azienda. 

Approccio organizzativo, circolare e globale che oggi più che mai diviene fondamentale per il lavoro di tutti.

Se ti sei perso l’articolo precedente, Cosa è oggi lo smart working dopo la pandemia, puoi trovarlo qui.

Avvocato giuslavorista ed esperta di lavoro agile
Articolo a cura dell’avv. Paola Salazar – Salazarlavoro

Cosa ci hanno insegnato gli ultimi mesi trascorsi in buona parte all’interno delle nostre case e, nella maggior parte dei casi, impegnati nel lavoro da remoto? Che quello che abbiamo sperimentato non è propriamente smart working ma, come ho iniziato a definirlo in questi mesi, lavoro domiciliare emergenziale. Il che è una buona definizione di quell’ibrido tra lavoro agile e telelavoro che molti hanno sperimentato, il quale ha contribuito a sciogliere dubbi, incertezze e rigidità mentali, così come ad alzare consistentemente la percentuale degli smart worker (ma anche dei telelavoratori) in Italia.

Prima della pandemia

Prima della pandemia solo il 7% dei lavoratori accedeva in misura stabile o occasionale al lavoro da remoto, prevalentemente nella forma del lavoro agile. Oggi grazie anche alle procedure di graduale ripresa dell’attività e al necessario rispetto dei protocolli di sicurezza che impongono una presenza limitata presso gli uffici, si attesta intorno al 40% (dati EUROFUND).  Dato che fotografa sia coloro che sono passati in modo stabile (e non più solo occasionale) al lavoro agile sia coloro che sono transitati invece verso forme di telelavoro sia per necessità di protezione (ricordiamoci che ben prima del COVID-19 la legge promuoveva il lavoro dei portatori di handicap mediante il telelavoro – L. n. 4/2004), sia quale forma generale di riorganizzazione (e mantenimento) delle attività in una prospettiva di auspicabile ripresa economica. 

Smart working emergenziale

L’ibrido che abbiamo conosciuto in questi mesi è una forma di gestione della prestazione lavorativa che il legislatore nei vari decreti (tra cui significativamente l’art. 39 del D.L. n. 18/2020 convertito in L. n. 27/2020 e l’art. 90 del D.L. n. 34/2020) ha chiamato lavoro agile. Semplificandone la fruizione senza dover ricorrere all’accordo individuale, ma che di fatto ha perso – per le ovvie ragioni date dalla necessità di svolgere la prestazione esclusivamente dal proprio domicilio – uno dei suoi fattori principali: la flessibilità spazio-temporale. Quest’ultima strutturalmente legata al lavoro per obiettivi che è vero motore di creatività e innovazione e vero elemento di valore di questa modalità di lavoro. Oggi più che mai!

L’autentico Smart working

Lavoro agile e telelavoro hanno delle caratteristiche comuni fondate su un modello organizzativo di tipo flessibile che, nel lavoro agile è basato sulla flessibilità spazio-temporale mentre nel telelavoro, essenzialmente, sulla flessibilità oraria. Tale modello organizzativo – che deve essere necessariamente agganciato al lavoro per obiettivi, indicato in modo espresso nella disciplina del lavoro agile (art. 18 c. 1 L. n. 81/2017) è strutturalmente fondato su molteplici e comuni sfaccettature che comportano altresì diverse conseguenze. Sia in termini di collaborazione, self-management e valorizzazione delle scienze comportamentali (essenziali per gestire correttamente il rischio di isolamento, il rapporto con i colleghi e i responsabili e la prestazione da remoto), sia in termini di orario di lavoro (mediante ad esempio la possibilità di svolgere la prestazione senza i vincoli rigidi dell’orario di lavoro normalmente praticato in sede perché più coerenti ad esempio con gli impegni familiari – vera trappola dei mesi del lockdown – ma nel rispetto dei limiti massimi che l’ordinamento giuridico pone per ragioni di sicurezza in materia di orario di lavoro, di rispetto delle pause, di disciplina dello straordinario), così come in termini di misurazione della performance e del costo del lavoro (mediante la possibilità di definire, d’accordo tra le parti specifici obiettivi ai quali collegare, in caso, anche forme di incentivazione economica e/o di revisione della parte variabile dei pacchetti retributivi).

E, ancora, in termini di stili di leadership e formazione dedicata sull’uso degli strumenti di lavoro, sulle risorse ICT a disposizione e, quindi di collaborazione e di accrescimento delle competenze essenziali per svolgere al meglio il lavoro da remoto. Ciò determina, necessariamente l’obbligo di prevedere percorsi di formazione dedicati per responsabili e collaboratori, diretti ad accompagnare a 360°, anche con attività di coaching, la prestazione lavorativa da remoto. 

Per non parlare poi dei benefici in termini di tempi di trasporto nelle grandi aree urbane e di oggettiva riduzione del tasso di inquinamento atmosferico che hanno acquistato grande rilevanza in questi ultimi anni e che oggi diventano anche strumento di riduzione e di flessibilizzazione delle fasce orarie di punta nell’uso del trasporto pubblico.

Solo se è correttamente inteso attraverso tutte le sue componenti fondamentali lo smart working è vero e proprio strumento di crescita e di innovazione. E’ in questa sua accezione che va da oggi in poi valorizzato e applicato. Partendo dagli spazi di manovra che la legge concede (e che potenzialmente concederà ancora di più), facendo tesoro dei fattori positivi e negativi che scaturiscono dall’esperienza di questi mesi per costruire regolamenti e accordi (individuali e collettivi) davvero utili per il lavoro del futuro e per il futuro del nostro paese. 

Avvocato giuslavorista ed esperta di lavoro agile
Articolo a cura dell’avv. Paola Salazar – Salazarlavoro

Prima che l’emergenza sanitaria scoppiasse, Alessandro De Chellis, consulente del lavoro di Ancona, scrisse per noi questo articolo. Lo scopo era quello di raccontare la sua storia. Una storia che parla di una scelta che in molti avrebbero giudicato discutibile fino a poche settimane fa, oggi forse verrebbe da dire essere stata quasi provvidenziale.

Da dove siamo partiti?

– La professione di Consulente del Lavoro è una di quelle classiche attività professionali caratterizzate da elementi che sembrano quasi imprescindibili. Uno studio fisico che faccia da “vetrina” verso il cliente è sicuramente uno di questi e forse il più radicato nella cultura professionale tradizionale (avvocati, commercialisti, ecc.). Quando io e mia moglie, anche lei consulente del lavoro con cui condivido la gestione dello studio, abbiamo deciso di rompere completamente con questo schema il processo, mentale prima e pratico poi, non è stato semplice.

Un primo elemento da chiarire subito è che la necessità di cambiamento non è nata dall’oggi al domani; è stato un percorso lento, personale e professionale, che ci ha cambiato radicalmente il modo di vederci come persone e professionisti. Sviluppare una visione dello studio nei successivi dieci anni, immaginare i cambiamenti che sarebbero intervenuti nel contesto esterno (mercato professionale, evoluzione del modo di vedere la professione, nuovi servizi, esigenze e obiettivi personali da raggiungere) non è stato semplice, ma ha giocato un ruolo fondamentale.

Una volta raggiunta la quadra “mentale” il processo tecnico/pratico ha avuto inizio non senza difficoltà.

Le sfide da affrontare

La prima sfida da affrontare è stato il giudizio sociale: pareri (per lo più non richiesti) e frasi quali ad esempio “ma poi i clienti cosa penseranno che non vedono più la targa” oppure “e se qualcuno pensasse che ve la passate male economicamente e quindi tagliate i costi”, o ancora “con questa scelta sappiate che potreste perdere dei clienti”. Sono state solo alcune delle frasi che ci siamo sentiti dire e che, se non ci fosse stata la convinzione e la visione di cui sopra, avrebbero minato sicuramente la buona riuscita del progetto.

Da ormai quattro anni siamo uno studio totalmente in smart working, tutto lo staff è in remoto alternando il lavoro da casa con quello in un coworking con cui abbiamo stipulato una convenzione (con la serenità di poter lavorare da ovunque si voglia senza problemi). L’accordo individuale con la nostra collaboratrice, che ha avuto la funzione di beta test che ora applichiamo a qualsiasi altro collaboratore entri nell’organizzazione, prevede flessibilità di orario distribuita sulle otto ore pur in presenza di un orario base, che è lo stesso di quando avevamo lo studio fisico, collocato al mattino. Per la parte di lavoro svolta da casa abbiamo deciso di coprire le spese, riproporzionate all’effettivo utilizzo, che la lavoratrice sostiene per connessione wi-fi, utenze e cancelleria.

Il supporto tecnologico

Il cambiamento così radicale ci ha obbligato a una riflessione sulla tecnologia da implementare. Siamo passati da un sistema di documenti condivisi all’interno di una rete internet di studio, con una gestione che prevedeva l’uso prevalente di carta, a dover rivedere completamente i sistemi di condivisione e collaborazione da remoto. La scelta è caduta sulla G Suite di Google adottando, dunque, Drive per lo storage dei documenti condivisi e Gmail per la posta elettronica (migrando le mail di studio sulla piattaforma). Trello è stato, invece, individuato come bacheca condivisa fissa per gli aspetti gestionali a corredo (regolamentazione privacy, sicurezza sul lavoro, norme comportamentali, welcome board per i nuovi collaboratori, ecc.).

Il lavorare a distanza, situazione prevalente salvo per le giornate in cui ci trasferiamo nel coworking, ci ha imposto di ragionare su sistemi sia di chatting istantanea, per le comunicazioni quotidiane, che di conference per riunioni da remoto più strutturate. Dopo un iniziale utilizzo del solo Skype, nel tempo, abbiamo diversificato, per migliorare l’esperienza di lavoro e l’efficacia, introducendo anche Zoom per le videoconferenze, Telegram per le comunicazioni quando si è in trasferta presso clienti e lasciando a Skype il ruolo di chat istantanea.

Formazione e retrospettiva

L’adozione di tutti questi strumenti e la loro collocazione in parti diverse dei processi lavorativi, ci ha obbligato a un ulteriore salto di qualità: la formazione costante e il rafforzamento della nostra visione d’impresa e di dove vogliamo arrivare. Solo in questo modo si riescono a decodificare le esigenze e, di conseguenza, trovare le relative soluzioni. 

Un dettaglio fondamentale, in tutto il processo di trasformazione, è stato quello di non perdere mai di vista le persone e le loro esigenze all’interno dell’organizzazione. Proprio perché il lavoro da remoto non può essere dato per scontato, in termini di piena accettazione e adeguatezza delle persone, abbiamo sviluppato dei piani di formazione costante che spaziano dalle competenze tecniche (avvalendoci di provider esterni di formazione) a quelle tecnologiche (con riunioni interne periodiche per discutere di limiti e problematiche emersi sugli strumenti utilizzati) fino a quelle di natura comportamentale con percorsi di coaching che rafforzino l’attitudine positiva delle persone.

In definitiva, l’esperienza di trasformazione da studio tradizionale a studio smart è da considerare assolutamente positiva. Non ha determinato alcuna defezione nei servizi o nella produttività ma ha, invece, assolutamente determinato un miglioramento della qualità di vita e lavoro in tutte le persone coinvolte e della capacità di adattarsi ai cambiamenti del mercato e delle esigenze della clientela –

Alessandro de Chellis


Il lavoro agile è una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.”

La legge 81 del 2017 così definisce il Lavoro agile inteso come una modalità flessibile di esecuzione della prestazione lavorativa che ha lo scopo di “incrementare la competitività” e “agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro“. Al centro vengono posti i lavoratori e il loro benessere, un dipendente più felice lavora in modo più efficace e l’azienda trae innumerevoli benefici da questo meccanismo. Primo tra questi una maggior efficienza e quindi una maggior competitività.

La chiave: lavorare per obiettivi

Anche conosciuto come Smart working, il Lavoro Agile offre la possibilità al lavoratore subordinato di lavorare “per obiettivi”. Per questo motivo oggi possiamo parlare di lavoro “smart” e quindi, lavoro intelligente. Da un approccio di “controllo” siamo passati ad uno di “raggiungimento” dei risultati e la tecnologia, in questa cornice, gioca un ruolo fondamentale. Senza di essa il lavorare “per obiettivi” sarebbe di fatto impossibile.

Grazie alla tecnologia infatti oggi i lavoratori agili possono lavorare ovunque. Che sia da casa o da un coworking non importa, ciò che è fondamentale è avere una connessione funzionante e l’accesso a tutto il materiale necessario al fine di svolgere le attività che ci si era prefissati di terminare.

Un breve quadro di quello che è e sarà il futuro del lavoro. Senza organizzazione, stili di leadership, autonomia e responsabilità verso i propri dipendenti non sarà possibile transitare verso questo scenario. Scenario che richiede la chiara definizione di specifiche regole di condotta.

Trovate qui l’articolo completo della nostra Paola Salazar.

paola salazar lavoro agile
Paola Salazar

Di poche parole ma di rapidi passi, l’incontro con Sara ci riporta a terra, nella dimensione più naturale, infantile eppure già matura per discutere di come spazi e tempi adeguati siano fondamentali per lavorare, crescere, conoscere se stessi e il mondo che ci circonda.

Sara, ma tu non ti fermi mai? Anche ora che stiamo parlando ti muovi, cerchi qualcosa, afferri tutto quello che sta vicino a te. Perché?
Non posso farne a meno: devo toccare con mano la realtà e scoprire se mi piace. Lo faccio con i colori, le forme, gli odori, le cose che mangio, le persone che incontro.



In uno spazio di lavoro non pensi sia un comportamento… fuori luogo? Siamo abituati a regole definite, quantomeno a prassi non scritte ma a tutti note, che prevedono un certo tipo di abbigliamento e di linguaggio, orari concordati e spesso uguali per tutti, poca possibilità di improvvisazione.

La disciplina è importante anche per me – le ore di sonno e quelle delle pappe, il gioco e lo sforzo, stare da soli e passare il tempo con gli altri – ma qui è diverso. Qui puoi essere te stessa fino in fondo, proprio come a casa, ma senza piangere se non vedi la mamma o aspetti per troppo tempo il papà. Perché qui mamma e papà ci sono, ci possono essere.

Che lavoro fa la tua mamma?
Fa le copertine dei libri, anche quelli che legge a me. Poche volte la sto a sentire, mi piace vedere le figure, strappare poi la carta e sentire che suono fa, provare a metterla in bocca ma qualcuno mi ferma sempre in tempo, di solito è il mio amico Claudio oppure le due ragazze che giocano con noi che siamo più piccoli.



Quanto tempo passi nel coworking in cui tua mamma lavora?

Il tempo che ci passa lei, a volte sento le sue telefonate oppure quando ride. Se non la vedo per tanto tempo però non mi preoccupo, so che sta disegnando a colori e allora lo faccio anche io. Io e lei facciamo la stessa cosa quasi tutti i giorni.

Non frequentate tutti i giorni lo spazio di coworking?

Ci sono i giorni in cui restiamo a casa oppure lei va a parlare con i grandi del suo lavoro in un altro posto in cui non mi porta, dice che lì mancano i colori, è più piccolo, non ci sono altri bambini e mi annoierei. Le credo. E poi è lontano da casa.

Quanto conta per te che questo spazio colorato sia vicino alla casa in cui abiti?

Quando usciamo da qui posso fare merenda con le bambine del quartiere e raccontare quello che ho fatto, mamma fa lo stesso con le sue amiche. Dice che si sente come un ponte mobile che collega la sua testa a quella di tante altre persone, in poco spazio e in poco tempo. Mi fa ridere immaginarla così, con la testa aperta e tanti fili fuori.

E tu, come ti immagini quando sarai grande come la tua mamma?
Io voglio cercare persone che vogliono passare il tempo con me a costruire cose che non esistono. Non voglio farmela sotto dalla paura di sbagliare qualcosa, di perdere tempo, di averne poco per mangiare bene e giocare con gli altri.

In base alla tua esperienza e per le tue attività quotidiane, qual è la difficoltà più grande da superare per diffondere questo nuovo modo di lavorare basato sulla condivisione degli spazi e la cura delle persone?
La testa… la testa che fa funzionare solo un filo, fra tutti quelli che ha dentro. Questo è il gradino più alto, quello che ancora ci fa cadere.

Cos’è per te il coworking?

Io non lo chiamo così, non ci riesco, ho solo 14 mesi. Lo chiamo campo aperto, abbraccio, tempo libero. E non mi fare una carezza, ora, solo perché secondo te ho detto una cosa bella. Sono piccola e sono una bambina, ma crescerò anche io.

Va da sé che le note del redattore che dialoga con una bambina piccola in un posto di lavoro per grandi sono tante e non riuscirebbero a stare tra parentesi, come si usa e si legge sui libri. Vale l’ascolto di mugugni, prime parole e interi discorsi abbreviati in vocali sussurrate all’orecchio o urlate per attirare l’attenzione. Vale l’immediata comprensione e restituzione nel linguaggio da adulti dei suoi pensieri più chiari delle nostre parole.
Sara l’ho incontrata nello spazio di coworking in cui i genitori possono svolgere tranquillamente il loro lavoro mentre i bambini sono seguiti da personale qualificato. Un corridoio separa le scrivanie dei coworker dai tavoli dei piccoli e le voci che si sentono non sono pettegolezzi d’azienda ma vere esclamazioni di stupore e soddisfazione per una dado di gomma lanciato e recuperato, per un’idea trasformata in progetto. Sogno o realtà?


L’autrice del post: Alessia Rapone, giornalista e copywriter. Lavora per la comunicazione interna di una grande azienda e realizza progetti multimediali. Affascinata dall’audio, è autrice di racconti e documentari per la radio, fra cui Parole in cuffia (2011), Condominium. Come ti rompo le scatole (2014), Smart working. Contro il logorio della vita moderna (2015).  Alessia ha realizzato per noi anche le interviste a Federico Bianchi C.E.O. di Smartworking S.r.l. (che puoi leggere a questo link) e a Rosario Carnovale dipendente e smartworker convinto (che puoi leggere a questo link).