Un po’ alla volta ci stiamo riappropriando del valore delle nostre giornate. Abbiamo trascorso un anno e mezzo lavorando da remoto, con una connessione pressoché costante. Abbiamo dato valore e significato al termine “disconnessione” – se non fosse stato ancora abbastanza chiaro soprattutto declinato come dovere di disconnessione, come ho già scritto in altro approfondimento specifico dedicato a questo tema. Abbiamo compreso che il benessere risiede in questo diritto/dovere fondamentale che vuol dire, prima di tutto, rispettare (e far rispettare) le pause, rispettare (e far rispettare) l’orario di lavoro e i tempi di non lavoro, che siano condivisi con il capo e i colleghi, che siano quelli che pratichiamo abitualmente in azienda o quelli concordati per il lavoro da remoto.

Disconettersi per conciliare

Che ci consentano anche la conciliazione vita-lavoro o di immergerci nella natura. Che siano i meccanismi di gestione del tempo che ci consentano di mangiare con attenzione al gusto del cibo oppure che ci consentano di giocare con nostro figlio e di seguirlo negli studi, così come quelli che ci consentano di concentrarci su un compito, che sia di lavoro o di non lavoro. Perché il nostro cervello per lavorare bene ha bisogno di pause. Vere pause.

Forse chi si è dato l’opportunità di sperimentare il vero “smart working”, chi ne ha compreso il vero valore in termini di autonomia, responsabilità, fiducia, collaborazione (e mi riferisco ad entrambe le parti del rapporto di lavoro, datore di lavoro e lavoratore), può oggi affrontare con maggiore consapevolezza alcune delle possibili evoluzioni di questo straordinario modello di organizzazione del lavoro che la pandemia ha finalmente sdoganato.

La prima evoluzione

La prima evoluzione dello smart working è quella che in letteratura si inizia a definire “modello ibrido”. Qui è necessario fare una precisazione. Il termine “lavoro ibrido” è comparso in questi ultimi anni in molte occasioni a definire il lavoro attraverso piattaforma (nella maggior parte dei casi a definire in realtà il lavoro dei rider) perché di fatto a metà tra lavoro autonomo e lavoro subordinato. Avendo già nell’ordinamento giuridico il lavoro parasubordinato (le cococo), alcuni hanno preferito iniziare a declinare il lavoro dei rider (che propriamente sarebbe in base alla legge lavoro autonomo ma che alcuni player del settore stanno iniziando ad inquadrare nell’ambito del lavoro subordinato, considerata anche la posizione assunta sul punto dalla giurisprudenza) proprio come lavoro “ibrido”. Perché autonomo per struttura ma con alcune delle tutele previste per il lavoro subordinato, quali minimo salariale e sicurezza.

Il “modello ibrido” cui invece si fa riferimento in letteratura come nuovo modello organizzativo del lavoro che include anche il lavoro da remoto (il vero smart working) è qualcosa di più ampio. Coinvolge anche la tecnologia e i comportamenti, il lavoro parte in presenza e parte in remoto caratterizzato dall’uso degli strumenti tecnologici e strutturato in base a obiettivi definiti. Quindi caratterizzato non dal controllo continuativo sulla prestazione ma dalla scomposizione del lavoro “per fasi, cicli e obiettivi” e dalla verifica del raggiungimento di specifici obiettivi. Lavoro per cui la presenza in sede non diviene funzionale all’oggetto della prestazione lavorativa, quanto piuttosto alla opportunità di gestire con autonomia e responsabilità i tempi e le fasi del lavoro. Accompagnandosi anche alla necessità di fare relazione, di creare occasione per sviluppare sinergie su specifici progetti, per partecipare a riunioni mirate.

Come stanno facendo molte grandi aziende le quali nel post-pandemia stanno prevedendo un progressivo rientro in sede nella consapevolezza dell’importanza che ha una parte di lavoro in presenza per la socializzazione, le relazioni e la creatività. Aziende che stanno sperimentando appunto soluzioni “ibride” che consentano di connettersi e di collaborare sia in presenza sia virtualmente.

La seconda evoluzione

La seconda importante evoluzione è quella data oggi dalla possibilità di allargare lo sguardo oltre i confini dell’ufficio e di guardare anche al territorio come spazio di lavoro. Territorio inteso come territorio vicino, un po’ più lontano e in alcuni casi anche oltre confine. Una delle tendenze che si è sviluppata nell’ultimo anno – proprio grazie alla costrizione del lavoro da remoto durante il primo lockdown – è quello del lavoro svolto non tanto dal domicilio abituale – quello in pratica vicino al luogo di lavoro – ma da altre dimore elette durante i mesi più duri di pandemia a dimore abituali.

Ecco che si sono così avviate interessanti esperienze di lavoro dai borghi, dai piccoli centri, dalla montagna, dal sud. In pratica da luoghi in Italia dove le persone – anche quelle che erano emigrate all’estero per lavoro – hanno scelto di tornare. È anche nata un’associazione – Sudworking o Southworking – la quale ha raggruppato proprio persone che rientrate in Italia, nei luoghi di origine, durante il primo lockdown, hanno dato voce agli aspetti positivi di questo ritorno e ripopolamento non solo del nostro bellissimo sud ma anche dei piccoli centri (connessione permettendo, pre-requisito tecnico indispensabile).

Potenziale oltre confine

L’immediata conseguenza che possiamo ricavare da questa tendenza avviata dalla pandemia e che sta iniziando a prendere consistentemente piede (alcuni hanno ad esempio deciso di trasferirsi in piccole città lontane non più di un’ora dalle metropoli più grandi quali Milano e Roma pur mantenendo il lavoro in queste città) è data dalla possibilità di sfruttarne le potenzialità anche oltre confine. Alcune aziende italiane hanno iniziato a ricercare talenti e figure tecniche particolarmente specializzate all’estero, decidendo però di lasciarle vivere nel paese di origine. Specularmente, molte aziende straniere e multinazionali stanno iniziando a valutare piani di assunzione che prevedono appunto di lasciare queste figure altamente specializzate nei loro paesi di origine.

Si tratta di accordi possibili che sono destinati a figure specifiche – freelance, figure senior, tecnici – ma che vanno ben strutturati. Non vi sono infatti complicazioni particolari dal punto di vista contrattuale se non l’attenta valutazione della legge applicabile al contratto di lavoro, mentre gli aspetti di maggiore complessità nascono dal punto di vista fiscale e previdenziale. La permanenza della residenza fiscale nel paese di origine influisce infatti sugli adempimenti fiscali – anche in capo al lavoratore – in base al modello OCSE, quando sia possibile (o non possibile) recuperare il credito di imposta per le imposte trattenute in Italia dal datore di lavoro che opera come sostituto d’imposta. Mentre è sul versante previdenziale che si generano le maggiori complicazioni, da sistemare in base alle convenzioni internazionali (ove esistenti) e ai regolamenti comunitari in materia di sicurezza sociale.

A volte si generano infatti complicazioni di difficile soluzione quando non vi sia la piena collaborazione interna tra le diverse istituzioni competenti nei vari paesi. Questo perché il luogo in cui risiede il lavoratore è di solito il luogo che governa l’accesso alle prestazioni previdenziali (ad esempio, malattia, maternità etc.). Mentre la copertura della prestazione – attraverso il pagamento dei contributi previdenziali – resta in capo al datore di lavoro nel paese in cui il lavoratore è stato assunto e dove si è perfezionato il contratto di lavoro.

Gestione consapevole

Solitamente residenza del lavoratore e sede del datore di lavoro coincidono nello stesso paese. Quando questi due elementi non coincidono, si possono creare delle complicazioni che possono essere gestite ma vanno prese in considerazione e valutate preliminarmente con attenzione in sede di perfezionamento del contratto di lavoro. 

Il lavoro da remoto sta aprendo molte potenzialità di innovazione organizzativa, anche sul versante della gestione amministrativa del rapporto di lavoro. È bene prenderne consapevolezza.

Avvocato giuslavorista ed esperta di lavoro agile
Articolo a cura dell’avv. Paola Salazar – Salazarlavoro

Oggi non si torna più indietro, possiamo però decidere noi se proseguire sulla strada del lavoro agile che l’emergenza ha spianato oppure se fare marcia indietro e tornare ai vecchi paradigmi.

Cambiamento organizzativo come rivoluzione

I progetti di Smart Working in cui siamo stati coinvolti in questi anni come consulenti, sommati all’esperienza della pandemia, ci hanno dimostrato con chiarezza che siamo davanti ad una vera e propria rivoluzione, non solo delle organizzazioni ma anche umana.

Per guidare questa rivoluzione è necessario che le organizzazioni stesse sviluppino al proprio interno le competenze ed il ruolo per gestire il cambiamento.

Il nuovo ruolo del responsabile HR deve essere quello del facilitatore per accompagnare le persone in questo processo di cambiamento. Ruolo non banale che determina la necessità di dotarsi di consapevolezza e metodo. Consapevolezza per quanto riguarda l’importanza che gioca la loro funzione e metodo nell’applicazione delle metodologie al percorso da intraprendere. Per essere facilitatori efficaci in grado di gestire i propri team è infatti fondamentale questo passaggio.

Il partecipante ideale del master

Il manager che vuole veramente attuare il cambiamento e farsi carico di questa sfida è la figura ideale a cui abbiamo pensato quando abbiamo ideato il nostro master in Smart Working Management. Un programma centrato sulle pratiche e sui metodi che hanno aiutato i nostri clienti a fare un salto verso un nuovo modo di lavorare e di intendere il patto tra lavoratore e azienda.

Il percorso del master è, infatti, pensato per chi in questo momento è chiamato a gestire un cambiamento così strategico fornendogli la possibilità di confrontarsi con esperti delle diverse aree di intervento e con i colleghi di altre organizzazioni che hanno già affrontato questo tipo di sfida.

Vedremo insieme come il cambiamento del modo di lavorare all’interno di un’organizzazione può portare ad una vera e propria rivoluzione.

Partire dal piano strategico

L’obiettivo di questo percorso è quello di sviluppare le competenze e la visione d’insieme necessaria per avviare un progetto di cambiamento basato sul lavoro agile. Il master accompagna il partecipante nella definizione di un piano strategico a partire dal completamento dello Smartworking Canvas che potrà e dovrà poi condividere e utilizzare fin da subito all’interno della propria organizzazione. 

Il percorso

I moduli, tutti completamente online, sono sei per un totale di ventisette ore di live class a cui andranno aggiunte cinque ore di Project Based Learning che verranno condivise lungo il percorso in accordo con i partecipanti. Si tratta di cinque ore a supporto di coloro che vorranno sperimentare all’interno della loro organizzazione gli strumenti e le pratiche apprese. Ogni modulo è inoltre sviluppato e accompagnato da diversi case studies di progetti passati e presenti gestiti dai docenti. Vediamo brevemente i moduli:

  1. L’ORGANIZZAZIONE AGILE

Cosa vuol dire agile e perché abbiamo bisogno di reinventare le nostre organizzazioni? Come sono fatte le organizzazioni fragili, agili e quelle antifragili? Come spingere un’organizzazione a desiderare un cambiamento verso l’agilità? Come condividere ed allinearsi su un’unica visione?

  1. CAMBIO DI LEADERSHIP

Come far fronte al cambiamento? Come trasformare una crisi in un’opportunità. Come comunicare e supportare il cambiamento partendo dalle persone? Come rendere sostenibile un percorso agendo sui fattori abilitanti e come rimuovere gli elementi di ostacolo.

  1. IL CAMBIAMENTO DELLE RELAZIONI

Come cambiano le dinamiche di relazione tra colleghi? Come si aggiornano parole come empatia, fiducia e collaborazione? Il ruolo dell’ascolto, quanto è importante.

  1. COME CAMBIANO LE LEGGI SUL LAVORO

Quali sono le leggi che supportano un nuovo modo di lavorare. Come stanno cambiando? Che cosa serve per applicarle in un contesto organizzativo? Quale impatto hanno sulla cultura interna? Pratiche di gestione delle relazioni sindacali.

  1. COLLABORAZIONE E DIGITAL TRANSFORMATION

Come supportare il cambiamento nel modo di collaborare. Come progettare la collaborazione agile. Quali sono i comportamenti da promuovere e allenare all’interno di un team e di un’intera organizzazione?

  1. I NUOVI SPAZI

Come cambia il concetto di spazio di lavoro? Come si progetta un nuovo ambiente di lavoro? Quali sono i parametri che ci aiutano a comprendere l’evoluzione di uno spazio. Sostenibilità ambientale e impatto sociale.

Non siamo docenti ma

Consulenti. Dal 2015 ci occupiamo di progetti di innovazione organizzativa, questo ci ha permesso di fare esperienza sul campo (caso AMC e caso Gi Group) e di poterla mettere oggi a disposizione di tutti.

5 anni fa Smartworking srl nasceva con un obiettivo: Aiutare le organizzazioni a diventare agili. Il nostro desiderio è sempre stato quello che le organizzazioni potessero diventare il luogo dove le sfide aziendali e i bisogni delle singole persone trovano il proprio punto d’incontro. Per noi lo smart working è la cornice ideale per allenarsi a diventare agili. Oggi, quello scopo è diventato priorità di tutto il mondo del lavoro. 

In questi mesi ciò che abbiamo sperimentato non è stato lavoro agile bensì lavoro da casa, a cui tutti, abbiamo cercato di far fronte. Dopo tutte le chiacchiere sui giornali e i media vogliamo cercare di dare il nostro punto di vista, che non vuole essere assoluto, ma una condivisione di quello che abbiamo imparato in questi anni e che stiamo tuttora imparando. 

Cos’è quindi per noi lo smart working? Parliamo di un modo di lavorare differente da quello a cui la maggior parte di noi era abituata. Quando parliamo di smart working ci riferiamo ad un ripensamento dei ruoli e delle responsabilità, ad una ridefinizione dei tempi e degli obiettivi ed un aumento della fiducia e della collaborazione tra team e singoli. Lavorare agile significa apprendere nuove tecniche quotidianamente grazie alla ricerca e al continuo miglioramento a cui aspira l’Io professionale di ciascuno di noi.

Lo smart working a servizio del talento

Ma andiamo più nel dettaglio. Possiamo parlare di un piano umano dello smart working? Sì nel momento in cui le caratteristiche che differenziano ciascuno di noi, lavorativamente parlando, diventano un valore aggiunto per la realtà a cui apparteniamo. Un’azienda inclusiva è un’azienda in cui lo smart working getta le basi affinché il talento di ciascuno emerga e faccia la differenza per la competitività della realtà. Coloro che ancora credono nel dipendente-macchina pagato per lavorare e non per pensare, beh che dire, questo è esattamente l’opposto di ciò a cui ci riferiamo. 

Sul piano strategico lo smart working è uno strumento che permette all’organizzazione di vincere sfide che prima mai avrebbe contemplato e di creare opportunità che prima si celavano dietro la paura di cambiare. Tutto questo proprio grazie a quei famosi talenti che fanno la differenza e alla loro sinergia. Anche la formazione risulta essere un passaggio fondamentale. Investire in un reskilling delle proprie persone a lungo termine dà i suoi frutti. E non parliamo di corsi di aggiornamento sulla salute e sicurezza (comunque importanti) ma di formazione agile, di formazione finalizzata ad apprendere nuove competenze e conoscenze, nuove tecniche, nuovi metodi e pratiche. Rimanere aggiornati in un’epoca liquida come quella in cui viviamo vuol dire essere strategici. 

Da un punto di vista tecnologico il lavoro agile si pone come primo sostenitore. La tecnologia unisce e che separa, se non saputa utilizzare correttamente. Ma con il giusto approccio e il corretto metodo è uno strumento molto potente che si fa alleato delle persone e rende possibile comportamenti e attività altrimenti inagibili. Lavorare distanti ma simultanei, avere la possibilità di comunicare seppur non dallo stesso luogo, condividere, imparare, collaborare…come sarebbe possibile fare tutto ciò senza la tecnologia? 

Questi tre piani, se correttamente sviluppati, convergono creando le condizioni ideali per una crescita costante prima di tutto dei collaboratori, e poi della realtà.

Il Lavoro agile come principale dinamica di inclusione lavorativa

Pensare al lavoro agile anche come incubatore di pari opportunità non sembra affatto una cattiva idea. Riflettici bene, quale metodologia lavorativa stimola l’inclusione meglio dello smart working (che non è home working)? 

Avendo come focus il lavoro per obiettivi  e al proprio centro il benessere delle persone, il lavoro agile guida l’azienda nel garantire le stesse condizioni di partenza a tutti i lavoratori. In questo modo ciascuno può esprimere il proprio talento con i tempi e i modi che meglio gli si addicono.

Nel momento in cui siamo disposti a ripensare e ridisegnare il nostro modo di lavorare, cambiare le nostre abitudini, esporci e sperimentare nuovi modi di agire, volenti o nolenti, andiamo alla ricerca del modo di lavorare migliore per noi stessi. Quest’ultimo è diverso per ciascuno e permette al singolo di esporsi ed esporre il proprio talento come non aveva mai fatto prima. Non essere valutati per il quanto ma per il come, lo smart working mette tutti sullo stesso piano creando pari opportunità

L’emergenza sanitaria cosa ha scaturito?

L’emergenza ha portato con sé una rivoluzione del modo di lavorare. Se volessimo individuare un aspetto positivo però, questo sarebbe il fatto di aver reso evidente agli occhi di tutti come ciò che molti credevano impossibile in realtà lo fosse solo nella propria mente e non nei fatti. Sì perché molte barriere sono state abbattute in questi mesi, barriere che avrebbero richiesto altrimenti anni in condizioni di normalità. Se non vogliamo rendere vano lo sforzo di adattamento che ciascuno, in maniera più o meno consistente, ha attuato, allora dovremmo tutti ripensare al nostro modo di lavorare e acquisire una nuova consapevolezza. Si può fare, lo smart working esiste ed è un’opportunità di crescita, di competitività e di inclusione.

In questo momento aziende e collaboratori sono bombardati da notizie e informazioni di tutti i generi, giuste e sbagliate ma comunque molte! Per quello che ci riguarda possiamo dare il nostro contributo facendo il punto della situazione su ciò che ci compete grazie alla nostra esperienza e alle nostre professionalità. Facciamo un pò di chiarezza, ricostruiamo tutti i DPCM.

I VARI DPCM DEL PRESIDENTE

Il 25 febbraio, pochi giorni dopo che tutto ebbe inizio, il Presidente del Consiglio dei Ministri firma un decreto. Tra le varie disposizione anche la seguente:– La modalità’ di lavoro agile …  e’  applicabile  in via provvisoria, fino al 15 marzo 2020, per i  datori di  lavoro aventi sede legale o operativa nelle Regioni Emilia Romagna, Friuli  Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria

Per le regioni sopracitate viene prevista la possibilità di lavorare da casa fino al 15 marzo assolvendo in via telematica agli obblighi di Informativa dell’INAIL. Rispetto al DPCM del 23 febbraio viene estesa l’applicazione del lavoro agile ad intere regioni e non più più a singole località o zone.

Pochi giorni dopo, il 1 marzo precisamente, viene emanato un nuovo decreto. – La modalità di lavoro agile…può essere applicata a ogni rapporto di lavoro subordinato, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020…

Tale decreto ha avuto validità fino all’8 marzo quando è entrato in vigore un nuovo DPCM il quale ha esteso la misura ad altri territori e province italiane. Mentre con il DPCM dell’11 marzo 2020 la modalità del lavoro agile legata alla situazione di emergenza è stata estesa a tutto il territorio italiano.

Il decreto non riporta la data precisa della fine dello stato di emergenza ma noi sappiamo che questo è stato riconosciuto per sei mesi a partire dal 31 gennaio 2020 e perciò che si protrarrà fino al 31 luglio 2020. Pertanto la modalità di lavoro agile può essere applicata su tutto il territorio italiano fino a tale data.

COSA DEVE FARE L’AZIENDA

Come comportarsi ora? Non c’è la necessità di stipulare accordi individuali per ogni lavoratore al fine di attivare lo smart working, il governo è stato chiaro. Vista l’emergenza non ci sarebbe stato modo e tempo per le aziende di adempiere ad una tale richiesta. Anche comunicare preventivamente la modalità di lavoro agile non sarebbe stato possibile.

Ciò che necessita di essere fatto è:

  • Mandare a tutti i collaboratori una email con alcune indicazioni pratiche organizzative e in allegato l’Informativa sulla Privacy e Sicurezza creata appositamente dall’INAIL in questo momento di emergenza. Informativa utilizzabile così oppure adattabile dall’RSPP in ragione delle caratteristiche del lavoro e dell’attività svolta da ogni azienda.
  • Successivamente è necessario che il Consulente del Lavoro o l’azienda stessa carichi le comunicazioni di lavoro agile sulla piattaforma di Cliclavoro tramite una procedura semplificata. Quest’ultima prevede il caricamento di una autocertificazione da parte del datore di lavoro in formato PDF e un foglio excel contenente tutti i dati richiesti da cliclavoro per avviare il lavoro agile. Tra questi: dati anagrafici, dati inail, data di inizio lavoro agile (25/2 o 11/3 in funzione della regione di appartenenza) e data di fine (31/7).

INFO UTILI

Data l’imprevedibilità degli avvenimenti non tutte le aziende sono state in grado di prepararsi efficacemente all’emergenza. Molte si sono fatte cogliere impreparate. Per quanto riguarda la tecnologia ad esempio, c’è stata una corsa al rifornimento di pc aziendali così da permettere di far svolgere la propria attività lavorativa a tutti i collaboratori dal proprio domicilio. In merito a questo vi alleghiamo la nostra policy BYOD (Bring Your Own Device). Grazie ad essa è possibile lavorare al di fuori del proprio ufficio senza bisogno di disporre di un pc aziendale, ma semplicemente disponendo di quello personale.

Se non hai mai lavorato in smart working prima d’ora o se semplicemente vuoi imparare a gestire al meglio il tuo lavoro da casa, ti invitiamo a seguire il nostro webinar gratuito il 25 marzo alle ore 15.
Se invece sei un’azienda, con la sede operativa in Lombardia, che sta sperimentando il lavoro agile con i propri collaboratori a causa dell’emergenza e ti stai rendendo conto che potrebbe essere una soluzione a molte problematiche, non perderti questo Bando. 4,5 milioni di euro stanziati. I requisiti sono: avere almeno 3 dipendenti e non avere mai implementato piani aziendali di lavoro agile (ad esclusione del caso emergenziale).

Per qualsiasi informazione contattaci pure!

Se da un lato lo Smart Working è sempre più diffuso e affermato come pratica aziendale, dall’altro lato molte realtà sono ancora dubbiose e reticenti ad abbracciare completamente e senza esitazioni questa nuova metodologia lavorativa. I motivi sono molteplici e tra questi non è raro che ricorra quello legale.

  • Ci sono dei limiti legali all’attivazione dei progetti di smart working? E se sì quali?
  • Alcune attività o alcune tipologie contrattuali possono o devono ritenersi escluse da questa modalità di lavoro?

Per questo motivo abbiamo pensato possa essere utile per schiarire le idee e risolvere qualche dubbio fare un breve excursus in materia andando a riprendere tre articoli del nostro avvocato Paola Salazar.

Smart working: come avviare un progetto

Incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, così è definito il Lavoro Agile dalla legge. Liberarsi dall’assioma presenza=lavoro ha un grande impatto psicologico sul lavoratore ed è essenziale per lui per poter lavorare senza vincoli di spazio e tempo. Purtroppo si tratta di un obiettivo difficile da raggiungere nel nostro ordinamento giuridico, ancora fortemente legato al tema del controllo e lontano dal far proprio il tema della fiducia nella gestione del rapporto di lavoro.

La tecnologia rappresenta un nodo fondamentale per chi volesse intraprendere progetti di Smart Working. La legge in questo senso si riferisce al “possibile utilizzo di strumenti tecnologici”. Non si può infatti fare a meno di quest’ultima ma è possibile che per alcune fasi o cicli non sia essenziale.

Ci sono poi attività che non possono essere svolte fuori dalla sede di lavoro tradizionale, si pensi alle attività commerciali, ai cantieri o ad alcune attività chimico-farmaceutiche. In questi casi la legge viene in aiuto affermando ad esempio che le forme di flessibilità possano riguardare anche l’orario di lavoro e non solo gli spazi. Sempre di flessibilità si tratta!
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Smart Working: i 3 elementi principali

Lo Smart Working non è lavoro da casa. Si tratta piuttosto di una modalità di lavoro flessibile che richiede alcuni fondamentali presupposti organizzativi.

Individuiamo nella tecnologia, nella fiducia e nell’Accordo di Lavoro Agile gli elementi principali di questa nuova forma lavorativa. Vediamoli più nel dettaglio:

  • Oggi la tecnologia riveste un ruolo fondamentale e ha reso possibile lo sviluppo dell’era Industry 4.0. L’evoluzione che ha imposto alle professioni negli ultimi anni ha fatto sì che anche il lavoro subordinato, e non solo quello autonomo, cominciasse ad essere regolato e valutato in termini di risultati raggiunti. 
  • L’elemento psicologico di maggiore rilevanza e fondamentale per ripensare la prestazione di lavoro in chiave di “obiettivi” è sicuramente la fiducia tra lavoratore e datore di lavoro ma anche in senso trasversale tra colleghi. Da non sottovalutare l’importanza delle soft skills e, quindi, dei fattori della collaborazione, ascolto e comunicazione, quali ingredienti essenziali al fine di avviare un progetto di Smart Working di successo.
  • La cornice si completa grazie all’Accordo individuale, quest’ultimo ha l’obiettivo di trovare il giusto punto di incontro tra l’interesse dell’organizzazione (ovvero l’aumento della produttività e della competitività) e l’interesse del collaboratore (ovvero il giusto bilanciamento tra vita privata e lavoro) e rendere così il più trasparente possibile la relazione.

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Smart working: aspetti di salute e sicurezza sul lavoro

Spesso e volentieri la preoccupazione principale di chi vuole avviare un progetto di Smart Working è proprio quella legata alla gestione degli aspetti di sicurezza dello smart worker.

In molti hanno il timore che l’Inail non fornisca una copertura assicurativa per l’attività svolta al di fuori degli spazi aziendali. Ma lo smart working, come abbiamo già detto, non è lavoro da casa. È invece una modalità di esecuzione della prestazione lavorativa che si caratterizza per l’assenza di vincoli di luogo e di orario di lavoro, ma soprattutto, per una nuova organizzazione del lavoro basata sugli obiettivi e non sulle ore trascorse alla propria scrivania.

Ne consegue che l’analisi della lavorazione eseguita in modalità di lavoro agile non differisce da quella normalmente compiuta in ambito aziendale, ai fini della riconduzione al corretto riferimento classificativo da adottare.” Così è riportato dalla Circolare Inail n. 48 del 2 novembre 2017, non esiste pertanto alcuna differenza tra l’attività svolta all’esterno dell’ufficio rispetto a quella svolta all’interno per l’Inail.

Secondo il principio della ragionevolezza spetta ad ogni lavoratore scegliere coscienziosamente e responsabilmente il luogo dal quale svolgere la propria attività lavorativa nelle giornate di smart working. Questo luogo può anche rispondere a temporanee e specifiche esigenze di conciliazione vita-lavoro del lavoratore purché questo valga per un limitato periodo di tempo e non in via continuativa.

Per quanto riguarda i fattori connessi agli strumenti di lavoro, all’assicurazione INAIL contro gli infortuni sul lavoro e alla tutela dell’infortunio in itinere, si può fare riferimento ai principi guida applicati per il lavoro subordinato.

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In conclusione

In modo molto breve e sintetico abbiamo cercato di affrontare le tematiche principali in materia di Lavoro Agile da un punto di vista legislativo. È possibile approfondire la lettura di ogni articolo seguendo il link e nel caso in cui qualcosa ancora non fosse chiaro contattateci senza esitazioni! Il 4 marzo Federico Bianchi e Paola Salazar sono stati i protagonisti del primo webinar gratuito che ha toccato proprio questi argomenti, e non solo. Se siete interessati potete rivedere la registrazione qui!

La nostra collaborazione con la piattaforma di Italian Coworking ci ha dato la  possibilità, in questi ultimi mesi, di dare forma a quattro articoli molto interessanti sul tema dello smart working incrociato a quello del coworking. Abbiamo voluto raccontare come entrambi contribuiscono ad uno scopo comune, ovvero quello di dare la possibilità al lavoratore di conciliare le esigenze personali con il proprio lavoro. Siamo convinti che oggi come oggi, in una realtà sempre più attenta al benessere del dipendente, smart working e coworking debbano essere una costante di qualsiasi azienda. Acquisendo così competitività e attrattività in un mercato in cui il miglior offerente è colui che attrae anche i migliori talenti.

LAVORARE DA CASA NON È POI COSì SMART

Il primo articolo di cui ci siamo occupati introduceva il tema del coworking. Siamo partiti ponendoci un quesito: è sempre vero che lavorare da casa nelle giornate di smart working sia la soluzione migliore? Forse no. Per un semplice motivo. Le distrazioni e la sensazione di solitudine dopo qualche tempo sono dietro l’angolo. 

Con la legge 81/2017 il Lavoro Agile è stato riconosciuto a tutti gli effetti e con lui anche la possibilità di lavorare per obiettivi senza vincoli di tempo e luogo. In questa cornice il coworking si inserisce perfettamente. Trattandosi di uno spazio appositamente dedicato e adatto a lavorare sia in autonomia e che in condivisione. 

Perché allora limitarsi a lavorare da casa? Uno spazio condiviso può essere un’alternativa valida ed estremamente produttiva eliminando anche il rischio delle “lavatrici a non finire” in cui si potrebbe incorrere rimanendo a casa propria. Ormai presenti ovunque trovarne uno non lontano e più vicino dell’ufficio è veramente facile.

Leggi l’articolo completo, Lavorare da casa non è poi così smart

FARE SMART WORKING NEI COWORKING, I VANTAGGI E GLI SVANTAGGI PER UN’AZIENDA

E se i coworking sono un’ottima alternativa al lavorare da casa per uno smart worker, vediamo brevemente quali possono essere i pregi e i difetti di questi spazi, soprattutto se il punto di vista è quello dell’azienda. 

Senza dubbio un coworking offre:

  • L’ottima connettività e il risparmio della carta, soprattutto per le questioni di riservatezza dei documenti.
  • La disponibilità di diversi spazi, ciascuno adatto ad un uso particolare, dalla phone boot allo share desk.
  • La sostenibilità ambientale, risparmiare sul tempo di spostamento casa-lavoro incide positivamente anche sull’ambiente.
  • L’incontro e il confronto con altre persone, si è infatti costantemente stimolati.

Ciò che frena però un’azienda spesso è un unico grande e ricorrente ostacolo: il costo della giornata di Coworking. Chi paga? Il lavoratore o l’azienda? Per noi è un costo dell’azienda ma nessuno lo ha previsto nel budget di spesa.

Leggi l’articolo completo, Fare smart working nei coworking, i vantaggi e gli svantaggi per un’azienda

LE EDIZIONI DELLA SETTIMANA DEL LAVORO AGILE, DAL 2014 AD OGGI COSA È CAMBIATO?

Per sensibilizzare ulteriormente sul tema, il comune di Milano promuove annualmente un’iniziativa conosciuta con il nome di Settimana del Lavoro Agile. Il fine è quello di diffondere il lavoro agile ed una cultura lavorativa nuova fondata sulla felicità dei lavoratori in quanto attori principali del benessere di un’azienda.

Nel corso degli anni la Settimana del Lavoro Agile ha avuto modo di modificarsi e migliorarsi portando una ventata di innovazione nel panorama delle aziende milanesi. 

Grazie a questa iniziativa, dal 2016 abbiamo realizzato la prima piattaforma per la condivisione degli spazi di coworking per i lavoratori agili. Le diverse survey effettuate nel corso degli anni ci hanno restituito un dato chiaro: lo spazio perfetto per lavorare non esiste, esiste uno spazio ottimale. Per molti questo spazio è il coworking, dove concentrazione e connessione s’incontrano e si sposano alla perfezione. 

Leggi l’articolo completo, Le edizioni della settimana del Lavoro Agile, dal 2014 ad oggi cosa è cambiato?

LE REGOLE PER VIVERE AL MEGLIO L’ESPERIENZA DEL COWORKING, LATO OSPITE E OSPITANTE

Come ogni luogo pubblico anche il coworking ha le sue “regole”, una serie di buone pratiche che guidano chi lo frequenta a viverlo al meglio. 

In particolare ci rivolgiamo a quei lavoratori agili che frequentano per la prima volta il coworking e che sono per questo motivo alle prime armi. Ecco le best practice di ogni buon lavoratore agile:

  • Sicurezza
  • Rispetto
  • Pulizia
  • Disponibilità

Così come per il coworker anche per il coworking ci sono dei piccoli accorgimenti da non trascurare al fine di rendere l’esperienza degli ospiti la migliore possibile. È infatti nell’interesse di tutti che quest’ultima sia tale per cui il lavoratore è  incentivato a tornare. Ecco gli accorgimenti del coworking:

  • Stimolare ed essere il primo promotore di attività di networking. Pranzi o aperitivi per riunire ed accrescere la community possono essere un buono spunto da cui partire.
  • Organizzare lo spazio a seconda di quello che sarà il suo uso. Una caratteristica del coworking è infatti quella di avere spazi polivalenti da sfruttare al massimo.
  • Fornire la password della connessione ad internet al momento dell’accoglienza del coworker.
  • Fornire le indicazioni per quanto riguarda le normative vigenti in materia di sicurezza dello spazio in caso di emergenza.

Leggi l’articolo completo, Le regole per vivere al meglio l’esperienza del coworking, lato ospite e ospitante

IN CONCLUSIONE

Secondo la ricerca dell’Osservatorio di Smart Working di Milano la produttività degli Smart Worker è il 15% in più rispetto ad un lavoratore tradizionale. Il livello di soddisfazione di questi lavoratori è ben più alto rispetto ai lavoratori tradizionali. Semplice coincidenza?

Inoltre, nonostante dai risultati delle nostre survey svolte durante la Settimana del Lavoro Agile, emerga che i lavoratori prediligano lavorare da un coworking con un’efficacia di gran lunga maggiore rispetto agli altri luoghi, la maggior parte di essi lavora da casa. Come mai? Nessun impiegato ha intenzione di spendere 30 euro per una giornata di coworking.

Se le aziende pagassero il coworking ai propri lavoratori di quanto aumenterebbe la produttività di ciascuno?



Avete iniziato a sperimentare lo Smart Working e lavorare da casa vi è sembrato così meravigliosamente perfetto. Niente più sveglie scomode e stressanti grazie agli orari completamente autogestiti. Addio alle code infernali nel traffico dell’ora di punta della vostra città. Molto più tempo a disposizione, da gestire in totale autonomia e comodamente dalla vostra casa.

Ma, siete sicuri che dopo una settimana di lavoro a gestione “smart” vi sentiate ancora così soddisfatti? Certo, assaporare la tranquillità del lavorare da casa durante la settimana vi è sembrato così appagante. E poi? I primi giorni sono trascorsi, l’euforia è un poco calata, come ci si sente a lavorare con in sottofondo un aspira polvere in funzione da ore? E con i piccoli lavoretti che il vostro caro vicino in pensione adora tanto fare nel giardino? Trovare la concentrazione può non essere sempre così facile. Per non parlare di quel senso di solitudine che avete mentre il mondo continua ad andare avanti anche senza di voi. Insomma, vi siete proprio resi conto che forse trascorrere le giornate con addosso la tuta e quell’aria vagabonda non è il modo migliore di conciliare la vostra vita professionale con quella privata.

E se ci fosse un rimedio alternativo al lavorare da casa e al dover attraversare la città perdendo ore inutilmente?

Il rimedio per fortuna c’è e si chiama Coworking! Ma cos’è il coworking? Nasce nei primi anni 2000 quando alcuni freelance americani si rendono conto che possono evitare di trovarsi tutti i giorni a Starbucks per lavorare. E allora si organizzano prendendo in affitto uno spazio nel quale tutti contribuiscono alle spese. Poi si accorgono che quel luogo aumenta le possibilità di creare delle sinergie e, a questo punto, il coworking esplode perché aiuta le persone a realizzare a lavorare meglio.

Noi ci crediamo da sempre, siamo nati perché secondo noi il modo migliore per lavorare è poter scegliere tra luoghi diversi che rispondano in ogni momento al bisogno che abbiamo per poter creare sinergia con il nostro lavoro. A volte vogliamo stare in movimento, altre stare da soli, altre con il desiderio di relazionarci con i colleghi in ufficio. E’ un bisogno di tutti quello di trovare il luogo giusto per pensare alle cose giuste? È un’utopia poter scegliere dove e come inseguire i propri obiettivi?

A queste domande ci siamo dati una risposta e da questa è iniziata l’avventura che stiamo vivendo oggi.

Il primo esperimento

Nel 2016 abbiamo fatto il primo esperimento, durante la 3° giornata del lavoro agile siamo riusciti a portare più di 80 persone in oltre 30 spazi di coworking. Il risultato ci ha dato fiducia perché lavorare in un luogo di coworking rende più produttivi (del 30%) e permette comunque di conciliare gli aspetti della vita privata.

E allora, che cosa stai aspettando? La settimana del lavoro agile organizzata dal comune di Milano è appena iniziata e con lei tutte le sue attività! È il momento giusto di provare gratuitamente tutti i vantaggi offerti dal coworking! Come fare? Semplicissimo, basta collegarti alla nostra webapp che ti permette di scegliere lo spazio coworking più vicino a te ad alle tue esigenze e con qualche click la tua giornata lavorativa può iniziare!

Questa settimana gli spazi di coworking messi a disposizione sulla nostra piattaforma sono utilizzabili gratuitamente a tutti coloro che hanno voglia di essere dei veri lavoratori smart!

Ti troverai in ambienti diversi, forniti di connessione wifi, una sedia ed una scrivania ergonomiche ma soprattutto un luogo di scambio e di opportunità per lavorare bene, accrescere le tue professionalità o semplicemente per conoscere nuove persone. Molto meglio che lavorare da casa, non credi?

Il nostro impegno non si limita a portare i lavoratori nei Coworking. Vogliamo aiutare le aziende a rendere i progetti di Smartworking strategici per il proprio business. Siamo convinti che questo obiettivo può essere raggiunto solo se si ragiona sulla ricerca del punto di incontro tra i bisogni dei lavoratori e gli obiettivi dell’azienda.

Ci ha colpito molto un articolo pubblicato alcuni mesi fa in cui viene descritta la strategia di gestione delle risorse umane all’interno di Airbnb, azienda leader della sharing economy. Il nuovo modello HR, “Workplace as an experience”, infatti, inteso come punto d’incontro tra i bisogni delle persone e le sfide aziendali è perfettamente in linea con la nostra “vision”. Nello specifico Airbnb lo ha incarnato cercando di eguagliare il rapporto con i propri collaboratori a quello con i propri clienti.

Il recente lancio fatto da Bryan Cesky, CEO di Airbnb, della nuova piattaforma Trips ha portato, ancora una volta, alla ribalta l’azienda americana. Negli ultimi anni quest’ultima si è contraddistinta, oltre che per l’originalità del suo business, anche per la ridefinizione del ruolo dell’area Risorse Umane.

Airbnb, il network per trovare alloggi in tutto il mondo, ha improntato il proprio successo rimanendo fedele alla mission “crea la tua esperienza di viaggio”. Motto da ultimo usato anche per promuovere l’ultima novità che consentirà di unire luoghi, persone ed esperienze.

«Non sarà più necessario seguire le mappe, aspettare in coda o scattare fotografie dei soliti posti turistici […] adesso si potrà avere accesso a esperienze uniche, case incredibili e consigli direttamente dalle persone del luogo».

L’“ospitalità reinventata” rientra in una vision che mette sempre la persona al centro degli obiettivi di business. Non stupisce, quindi, che Airbnb abbia voluto estendere il concetto di “esperienza memorabile” anche ai suoi dipendenti. Partendo dal presupposto secondo cui lavoratori soddisfatti siano più produttivi e quindi creino clienti felici.

“Workplace as an experience”, di cosa si tratta?

Da qualche anno, infatti, sta sperimentando un nuovo modello di HR, denominato Workplace as an experience, cioè “luogo di lavoro come esperienza”.

Il Chief Employee Experience – così si definisce Mark Levy, HR Manager in Airbnb – amplia le funzioni tradizionali del capo risorse umane. Ora si occupa anche di temi connessi al marketing, alla comunicazione, al real estate e alla responsabilità sociale.

L’essenza di questo modello è quella di creare un contesto lavorativo in cui tutti gli elementi fisici, emotivi e virtuali concorrono a creare un’esperienza di lavoro ottimale.

Pilastri principali di questo modello sono autonomia, flessibilità, trasparenza, diversificazione, attenzione al cibo e ambiente fisico. Tutto è focalizzato sulle differenti esigenze personali del melting pot di persone che collaborano tra di loro. Non mancano tecnologie collaborative d’avanguardia e un grande interesse nel far crescere sempre di più il senso di appartenenza alla cultura aziendale.

Particolare attenzione è data anche alla ricerca dei talenti e alla sfera emotiva dei collaboratori. Quest’ultimi grazie al programma di cittadinanza globale, possono usufruire di 4 ore al mese per prestare servizi di volontariato.

Si può dire che quella delle risorse umane in Airbnb non è più solo una funzione di supporto all’interno del business, ma l’esperienza dei dipendenti è buona parte dei business stesso.

Ammesso che di Airbnb ne esista una sola con la sua storia e le sue peculiarità, viene da chiedersi se sia possibile trasferire questa esperienza in altre aziende. In particolare in quelle italiane, dove vi è una visione più tradizionalista della funzione HR.

È possibile raggiungere questo obiettivo? Da dove iniziare?

In primo luogo si potrebbe traslare nel ruolo HR quello che l’azienda fa con i clienti. Ad esempio portare al suo interno interno gli strumenti di marketing che si utilizzano per conquistare e fidelizzare i consumatori. Come ad esempio la continua ricerca di soddisfare i bisogni, creando un modello di sviluppo condiviso con i dipendenti e costruito in base alle caratteristiche personali. Non va dimenticato, infatti, che così come i clienti contribuiscono a creare il valore del prodotto, allo stesso modo i dipendenti concorrono a creare il valore e l’identità dell’azienda.

Secondariamente si potrebbe valutare l’importanza di collaborare con le altre aree che non rientrano nelle classiche funzioni HR. Si creerebbe così uno scambio continuo di informazioni e verrebbe decisa in maniera coordinata la strategia aziendale.

Altra domanda è “perché farlo”?

I motivi sono tanti. Uno di questi è perché è ciò a cui aspirano gli studenti e i neolaureati che si affacciano ora nel mondo del lavoro ed è quello che chiederanno tutti i lavoratori in un prossimo futuro. Le aziende devono essere in grado di intercettare le generazioni digitali che sono in possesso delle nuove competenze richieste dal mercato del lavoro. Per riuscirci dovranno essere attrattive e aggiudicarsi i giovani talenti.

Inoltre, un nuovo paradigma può ridurre il rischio che professionisti esperti possano scegliere di ricercare un differente contesto lavorativo. Come è vero che i clienti comprano prodotti in cui si riconoscono, allo stesso modo i lavoratori del futuro sceglieranno come luogo di lavoro, aziende che hanno saputo creare anche al loro interno un’identità forte e performante.

È importante ricordare che per fidelizzare e valorizzare i collaboratori non bastano incentivi di tipo economico, premi di risultato e i classici piani di welfare. Molto più importanti sono: lo scambio di opinioni, la comunicazione interna, la formazione, lo sviluppo di competenze e l’uso della tecnologia al fine di semplificare i processi.

Non è detto che la soluzione adottata da Airbnb sia l’unica strada da percorrere. Probabilmente non esiste una soluzione che vada bene per tutti. Ogni azienda deve trovare la sua modalità di cambiamento, anche in base alla sua storia e agli obiettivi di business. Il primo passo, però, è quello di prendere coscienza che un ripensamento dell’organizzazione aziendale, a partire dall’area HR, è necessario e improrogabile.

Immagine: Papercollage di Vincenzo Musacchio

Vi vogliamo raccontare due storie diverse, ma simili, che potrebbero mettere in discussione quei capisaldi sui quali abbiamo impostato la nostra vita professionale e sociale.

In entrambe è possibile leggere la volontà di promuovere e mantenere il più alto grado di soddisfazione fisica, psicologica e sociale teorizzato dal modello del “benessere organizzativo”. La prospettiva, però, è qui diversa. Fino ad oggi, il compito di garante era prerogativa dell’azienda. Nelle nostre storie sono, invece, i lavoratori che sono diventati artefici del proprio benessere e l’azienda li accompagna con la fiducia.

I nostri protagonisti sono Michele e Laura (i nomi sono di fantasia, ma le le storie sono vere). Entrambi hanno scelto di lavorare a Milano. Ma, soprattutto, tutti e due hanno deciso di cambiare il loro approccio al lavoro.

Michele, l’imprenditore

Michele è un imprenditore bergamasco con alle spalle anni di esperienza e un’attività ben avviata, ma ad un certo punto decide di avventurarsi in un nuovo e ambizioso progetto. Oggi alterna l’attività da casa a quella svolta in uno dei tanti coworking presenti sul territorio milanese. O sui treni che lo portano ai tanti appuntamenti, oppure in una biblioteca vicino alla sua abitazione. Afferma entusiasta che, da quando ha riorganizzato spazi e tempi, la sua vita è migliorata sotto diversi profili.

Ne ha tratto vantaggi perché non usa l’auto, bensì i mezzi pubblici. Sfrutta appieno il suo abbonamento alternando treni, bus, tram e bike sharing (Bikemi e LaBigi). Spesso si muove a piedi, e utilizzando l’apposita applicazione “salute” del suo smartphone Google Fit (Apple Health per chi possiede un iPhone) si è dato un semplice traguardo giornaliero: fare almeno 75 minuti a piedi o in bicicletta. Quando appare l’icona del raggiungimento dell’obiettivo si sente gratificato ed il suo cervello produce dopamina.

Per lui, insomma, i continui spostamenti sono diventati l’occasione per abbandonare uno stile di vita sedentario, essere dinamico e incontrare sempre persone diverse e culturalmente stimolanti, oltre che nuovi possibili clienti. Dice: «Il mio “ufficio” apre alle 9.02 quando parte il treno che devo prendere, ho già accompagnato i miei figli a scuola e ho 50 minuti di viaggio per me per organizzare il lavoro e fare qualche telefonata. Lavorare a Milano abitando in provincia si può fare benissimo, basta non prendere il treno delle 8.00, e, se non ho necessità di spostarmi da Bergamo, uso la mia abitazione. Oppure lavoro in un coworking vicino a casa dove riesco a concentrarmi e non mi sento solo».

Naturalmente quella che può sembrare una situazione idilliaca va abbinata ad una condizione di lavoro flessibile in cui gli orari non sono rigidi e ad essere valutato è il risultato. Indipendentemente dal tempo che si è impiegato per raggiungerlo.

Laura, la Project Manager

Laura, project manager, quarant’anni e due figli, avrebbe potuto continuare a lavorare nella sua piccola realtà di provincia, vicino casa, adagiandosi su una situazione statica e apparentemente comoda. Lasciandosi andare di tanto in tanto a qualche vagheggiamento su un futuro lavorativo maggiormente appagante. Ma lei no. Lei, mamma geek, vuole essere “smart”. Ogni giorno trascorre 4 ore della sua vita sui mezzi pubblici, ma per lei questo non è un tempo sprecato, o sottratto alla sua famiglia, anzi è uno spazio da dedicare solo a sé stessa. Legge, studia, scarica le tensioni accumulate in una giornata lavorativa, liberando la mente per essere pronta ad abbracciare i suoi bambini. Sostiene convinta: «…la mia è una scelta di comodo». Nel sentire ciò che racconta rimaniamo perplessi, ma Laura ribadisce che per lei spostarsi ogni giorno da Como a Milano, nonostante il treno ed i suoi ritardi, non è un peso, ma una possibilità.

Anche i suoi sono orari abbastanza flessibili e ogni tanto le è concesso lavorare da casa; lei, però, preferisce muoversi perché vuole incontrare altri professionisti come lei.

Il viaggio è parte integrante del suo modo di lavorare “smart” e le consente di conciliare vita e lavoro senza rinunciare ai propri interessi.

La routine ci fa poi così bene?

Siamo soliti pensare che una routine quotidiana costituita da un luogo lavorativo fisso, da orari prestabiliti, dai soliti colleghi ecc., sia il presupposto di un’esistenza serena e priva di stress. Dopo aver letto questo breve articolo dovremmo chiederci: ma è davvero così? E soprattutto lo è al giorno d’oggi in un’era di profondi cambiamenti?

Immagine: Papercollage di Vincenzo Musacchio

Mi chiamo Micke, ma anche Malm se vuoi il piano estraibile. Arkelstorp se la tira un po’ perché ha i cassetti e puoi allungare le gambe… Sono la tua scrivania, quella che costa poco ma non pochissimo, che mantiene i tratti nordici di rigore e semplicità, poi le piantine e le piadine le porti tu.

Perché dovrei portare pane e rose?

Perché la sostanza e la bellezza da coltivare sono i diritti fondamentali, qualunque mestiere tu faccia, in qualunque posto tu lo faccia. Lo sono a prescindere da me e da quello che rappresento.

Cosa rappresenti, scrivania?

Sono la tua sicurezza, quel pezzo a cui ti appoggi ogni mattina da chissà quanti anni tutti uguali. Sono la certezza che tu ci sei ancora, sopravvissuta a traslochi, cambi di sede, colleghi in pensione o in aspettativa, maternità, premi e punizioni. Non sono un elemento di arredo soltanto, non faccio ambiente, semmai scelgo le persone.

La scrivania lavora nelle risorse umane?

Vorrei lavorare veramente per loro, diventare più mobile di quanto non sia per natura, cambiare ufficio per qualche giorno, restare vuota e rischiare la polvere. Sarebbe un atto di generosità verso chi ancora si attacca a me come zattera nell’open space caotico oppure vuoto… Che pena, insicuro lavoratore moderno. Vecchio! Non hai capito che basta meno per lavorare in pace?

Ma allora cosa sarà di te, se ti muovi lontano da chi ti vuole?

Non pensarmi arredo, ti ho detto che io scelgo le persone: ci sarò sempre per chi mi tratta, bene o male, senza farmi status né symbol di un’era che è finita, quella con gli uffici e i minuti tutti uguali. Resto, ma senza divisa semmai mi faccio condivisa, divento sharing desk… Suono meglio, in inglese?

Sharing desk, la scrivania non mi appartiene: tu scegli me e io scelgo te, con un sistema a prenotazione dentro spazi di coworking ma anche dentro la stessa azienda che si rinnova. Dico bene?

Faccio risparmiare metri quadri, metto a disposizione tutta me stessa e permetto a voi di conoscervi meglio e costruire reti in cui scambiate competenze e soddisfazioni, documenti e preoccupazioni. Faccio anche la rima, all’occorrenza.

Non ti manca una persona in particolare? Non hai nostalgia di quel lavoratore e delle sue abitudini quotidiane? Scommetto che lui o lei sente il bisogno di averti tutta per sé.

Le abitudini sono care. Sia chiaro, non voglio distruggere nulla e un luogo dove approdare serve a tutti. Tuttavia il primo luogo, con tanto di confini, amici e collaboratori, progetti ed emozioni che lo rendono ancora più caro, lo portiamo già dentro di noi. Nessuna scrivania lo renderà più stabile, più importante, più degno di attenzione e di utilità sociale. Provate a pensare il vostro lavoro senza di me. Poi cercatemi di nuovo, io ci sarò sempre, per uno e per tutti.


L’autrice del post: Alessia Rapone, giornalista e copywriter. Lavora per la comunicazione interna di una grande azienda e realizza progetti multimediali. Affascinata dall’audio, è autrice di racconti e documentari per la radio, fra cui Parole in cuffia (2011), Condominium. Come ti rompo le scatole (2014), Smart working. Contro il logorio della vita moderna (2015).  

Immagine: Papercollage di Vincenzo Musacchio